“Non è mai troppo tardi
per diventare quello
che vuoi essere”
George Eliot

 

Ricordo ancora la sera in cui scrissi la mia prima poesia. Avevo sei anni, sedevo sul tavolo del soggiorno di casa dei nonni, dove io e mia madre abbiamo abitato nel periodo della mia infanzia.
Lei mi stava accanto e si occupava di altro. Ed io, come ero solita fare e come avrei fatto negli anni a seguire sempre più spesso, mi concentravo sulle matite, i colori, i fogli e tutta la cancelleria che esercitava su di me un fascino primordiale, atavico. Quella sera composi un testo semplice, pochi capoversi, ma che ancora ricordo a memoria e mi commuove. Non scrissi più in versi dopo allora, mi dedicai alla prosa, per via dei miei studi, delle mie letture e della mia predisposizione alla saggistica. Ma credo sia stato quello il momento in cui ho capito che nella vita la scrittura sarebbe stata parte di me.

Passati i trent’anni una donna si trova a dover fare una sorta di bilancio di quella che è stata la propria vita. E se mi chiedessero di guardarmi indietro, e dire in poche parole ciò che mi descrive, sicuramente risponderei lo studio. Credo di non aver mai smesso, infatti, da quando lo ricordo, di maneggiare libri, riviste, paper, tutto ciò che trovavo nel mio cammino e che poteva farmi conoscere, scoprire, i pensieri che erano stati scritti, le scoperte fatte, i sogni messi da altri nero su bianco. Le parole e le immagini hanno sempre costituito il mio mondo interiore. Un mondo fatto di personaggi illustri, donne celebri, autori classici, radicali e rivoluzionari più o meno contemporanei, che a me parlavano come fossero in carne ed ossa. Ho sempre creato con loro una relazione che mi portava a viverli come reali. Un mondo immaginario, per il resto delle persone che mi circondavano, ma che per me è, da sempre, il piccolo ecosistema in cui tutto era possibile.

Credo che sia questa mia predisposizione, questo vivere un mondo fatto di pensieri e parole, che mi ha portato a dedicare allo studio ed alla ricerca tanti anni della mia vita. E col tempo ho capito che, in particolare, era la sociologia l’ambito in cui non solo riuscivo, ma in cui brillavo, in cui mi sentivo me stessa, davvero. Studiare la società, i suoi fenomeni, i mutamenti e trasformazioni, è sempre stato per me “naturale”. Non mi sono, però, mai limitata a leggere ed imparare, mi sono sempre approcciata in maniera critica a tutto ciò che man mano studiavo e scoprivo. Imparare, poi, la metodologia e la tecnica di ricerca è stata la grande svolta della mia vita. Sporcarmi le mani sul campo, come diceva l’illustre Achille Ardigò, confondermi nei gruppi che analizzo, capirne le ragioni, cercarne le logiche, tutto mi è sempre risultato “familiare”, come se fosse parte di me.

Per questo, la vittoria della borsa di studio di dottorato a Bologna, la scelta da parte del Capo Dipartimento dell’Università di Cambridge di finanziarmi un periodo di visiting per condurre la mia ricerca all’estero, e tutti gli altri obiettivi che ho raggiunto negli anni sul lavoro, li ho sempre vissuti come traguardi parte di ciò che semplicemente pensavo essere il mio destino, del normale corso delle cose. Immaginavo che la ricerca e, in particolare, l’accademia, fossero il mio habitat naturale, il mezzo attraverso il quale avrei trasferito in pratica ciò che da sempre viveva la mia testa. E così gli anni passavano, i lavori che svolgevo si sommavano, ed io non mi fermavo mai ad interrogarmi su quello che sarebbe stato il mio futuro. Perché semplicemente era già scritto, ed io lo stavo solo vivendo.

Un giorno, però, il castello di carta che avevo costruito è crollato. E’ bastato un soffio, impercettibile agli altri, che, però, come una dotato di una forza superiore, è riuscito a devastare ogni mia certezza. Ricordo come se fosse oggi il periodo successivo a quando capii che tutto, nella mia vita, sarebbe cambiato. Guardavo le persone passeggiare per le strade di Bologna, ignare di ciò che mi stava accadendo. Il mondo continuava a ruotare attorno al suo asse, le stelle a brillare la notte, la luna a mostrarsi ogni volta con una faccia diversa. Solo i miei familiari e gli affetti a me più cari conoscevano i fatti e ciò che mi era accaduto, ma nonostante ciò mi sembrava che nemmeno loro potessero davvero capire. D’altronde come potevano farlo se nemmeno io avevo la minima idea di cosa mi stesse capitando? Chi ero io quindi? Quale sarebbe stata la mia vita ora che la mia carriera, il mio lavoro, e tutto ciò che avevo da sempre costruito era perso per sempre?
La vita ci sorprende sempre. E’ stata la più grande lezione che ho imparato. Questa e quella che mi ha fatto capire che la vera scelta che ogni giorno, quando apriamo gli occhi e decidiamo di iniziare la nostra giornata, ci troviamo a compiere, è semplicemente questa: vivere o morire. Ebbene si. Vita o morte, eros o thanatos, yin e yang. Due parole di cui avevo sempre letto e scritto, ma di cui non avevo capito, davvero, il significato prima. Perché non possiamo forse mai conoscere appieno ciò che non esperiamo. Dopo quel periodo, fatto di sconforto, depressione, delusione, ansia, invece, mi è stato chiaro. La vera magia sta nel capire che il segreto sta tutto nell’accettare che la vita, se decidi di viverla, va vissuta per quello che è, una sorpresa continua, che ogni giorno ci chiede di essere pronti a giocarci le nostre carte e ricominciare.

E così, passo dopo passo, ho deciso di ricominciare. Ho iniziato a propormi come consulente, consapevole delle difficoltà che esistono in Italia per chi come me si affaccia al mondo profit con un curriculum fin troppo titolato, senza nessuna conoscenza o relazione da poter utilizzare e, per mettere la ciliegina sulla torta, un carattere indomabile e poco incline alla subordinazione. Un inizio niente male, insomma, per una donna che si affacciava alla trentina e che vuole riprendere in mano la sua vita lavorativa. Eppure qualcosa si muoveva, e la passione per il lavoro che svolgevo rendeva tutte le difficoltà più digeribili.

Nonostante questo, però, come andavano le cose non mi bastava. Dire che il tenore di vita che conducevo fosse cambiato è a dir poco un eufemismo. La continuità delle commesse che riuscivo a ottenere non era sufficiente. Non era solo la questione economica a non rendermi soddisfatta di come stavano andando le cose. Avevo fin troppo tempo libero, pensieri e progetti che tornavano a muoversi e farsi vivi nella mia mente, voglia di conoscere gente e fare qualcosa che fosse davvero diverso per me e la mia nuova vita. E così feci qualcosa che nessuna delle persone che mi conosceva in quel momento capì. Presi il mio computer e risposi ad un annuncio in cui, in uno dei più famosi social media in Italia, cercavano modelle, e mi candidai per un casting. In realtà, avevo già fatto la modella da ragazza, durante gli anni di studio all’università, prima di dover lasciare quella passione perché non appropriata al lavoro da ricercatrice secondo le persone con le quali collaboravo. Ma era passato davvero tanto tempo e sicuramente non immaginavo che quel semplice gesto così azzardato, avrebbe cambiato il corso della mia vita.

Superai quel casting. E dopo di quelli ce ne furono altri. I casting, poi, divennero lavori che mi venivano commissionati direttamente dai clienti stessi. Dopo di ché, grazie le mie predisposizioni e i miei soft skills, diventai per le agenzie con le quali collaboravo una risorsa esterna da utilizzare anche come recruiter per altre modelli e modelli. Mi venivano proposti lavori e mi si chiedeva di trovare ragazzi e ragazzi disposti a candidarsi per i rispettivi casting, dandomi una percentuale nel momento in cui una delle persone proposta da me fosse stata scelta dal cliente. E’ così che ho iniziato a crearmi una cerchia fissa di agenzie con cui collaboravo. Grazie al mio lavoro da modella e quello da recruiter, riuscivo sempre meglio a capire i limiti, i problemi, le potenzialità e i punti di forza dei clienti, dei brand, dei lavoratori e delle agenzie del settore creativo in Italia. Più il tempo passava, più mi impegnavo a studiarne i comportamenti e i meccanismi, finché non arrivai a svolgere una vera e propria ricerca personale sul mondo dell’imprenditorialità creativa. Ancora inconsapevole, avevo fatto il primo passo verso il mio nuovo mondo del possibile.

Così è nato il mio progetto. Così nata la PoT Agency, una start up innovativa con sede a Roma e che opera in tutta Italia, per fornire servizi in ambito di imprenditorialità creativa “from Italy”, con lo scopo di tradurre le leve e le potenzialità dell’impresa artistica e creativa e delle persone che ne fanno parte, in termini di sviluppo economico, sociale, ambientale e culturale. La PoT Agency rappresenta una risposta concreta ai problemi e alle questioni che pervadono le attività dei lavoratori autonomi, delle piccole medie imprese ed in generale degli attori del settore culturale, artistico e creativo. E’ in grado di svolgere un ruolo polifunzionale tale da garantire un’offerta differenziata da parte di un unico interlocutore, capace di rispondere alle esigenze plurime tipiche di un mercato globale, garantendo alta qualità e professionalità, ma al tempo stesso, grazie ad un preciso schema organizzativo, flessibile ed innovativo modello di business, costi di mercato altamente competitivi, alla portata anche di coloro non potrebbero altrimenti permettersi la collaborazione con un’agenzia esperta in creatività, comunicazione e marketing non convenzionale. Sono, quindi, la capacità progettuale, efficace tanto sul territorio nazionale quanto sui mercati esteri, la consolidata competenza nel creare network, la marcata attenzione alla cultura d’impresa e dell’imprenditorialità, l’attenzione rivolta alla qualità e alla professionalità, la centralità attribuita al valore della persona e del lavoro, nonché i valori che sono parte integrante della corporate mission statement, che rendono la PoT Agency una realtà ed un brand competitivo a livello internazionale.

Eisa Badiali