Talento e creatività contro la violenza di genere
Intervista a Anna Silvia Angelini e Daniela Furlani
ed analisi del fenomeno
di Elisa Badiali
“Esiste una verità universale,
applicabile a tutti i paesi, culture e comunità:
la violenza contro le donne
non è mai accettabile, mai scusabile, mai tollerabile."
Segretario generale delle Nazioni Unite,
Ban Ki-Moon (2008)
25 NOVEMBRE: GIORNATA INTERNAZIONALE PER LA LOTTA ALLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE: INTERVISTA A ANNA SILVIA ANGELINI E DANIELA FURLANI
1) La violenza contro le donne è diffusa a livello globale. La lettura del fenomeno invia un messaggio forte: la violenza contro le donne non è un piccolo problema che si verifica solo in alcune sacche della società, ma piuttosto un problema di salute pubblica globale di proporzioni epidemiche, che richiede un'azione urgente.
Proprio per queste ragioni, è tempo che il mondo agisca: una vita libera dalla violenza, infatti, è un diritto umano fondamentale, che ogni donna, uomo e bambino merita.
In che modo affronti questa questione attraverso il ruolo che svolgi?
Quali attività e quali progetti hai potuto promuovere, organizzare o creare in linea con questa idea di contrasto e lotta alla violenza di genere?
Anna Silvia Angelini: “Subito dopo la sua fondazione nel 2013, AIDE Nettuno associazione indipendente donne europee ha rapidamente esteso la sua rete di collaborazioni a livello nazionale, instaurando importanti partnership con istituzioni in diverse regioni italiane. L'associazione ha promosso campagne di sensibilizzazione, organizzato convegni e seminari, e collaborato alla realizzazione di progetti pilota per la prevenzione e il contrasto della violenza di genere.
Con una visione ampia e inclusiva, AIDE Nettuno ha fin da subito inteso la violenza di genere come un problema nazionale. Pertanto, ha rapidamente esteso le sue attività oltre i confini locali, collaborando con istituzioni e associazioni in tutto il Paese. Attraverso un'intensa attività di networking, l'associazione ha creato una rete di contatti a livello nazionale, facilitando lo scambio di buone pratiche e la condivisione di esperienze.
Il Centro d'Ascolto "Uscita di Sicurezza" ha svolto un ruolo fondamentale nel fornire supporto alle donne vittime di violenza. Tuttavia, è necessario un impegno costante da parte delle istituzioni e della società civile per superare le barriere ancora esistenti e garantire un futuro libero dalla violenza.
Per il futuro, il centro si prefigge di:
* Ampliare l'offerta dei servizi, in particolare quelli di supporto psicologico.
* Rafforzare le collaborazioni con le istituzioni e le altre realtà del territorio.
* Aumentare la visibilità del centro e sensibilizzare l'opinione pubblica sul tema della violenza di genere”.
Daniela Furlani: “Nella mia organizzazione poniamo grande attenzione al tema della sostenibilità sociale e della parità di genere.
Quest’anno abbiamo intrapreso un percorso che ci ha portato a ottenere la certificazione di genere per tre società della nostra rete, tra cui anche quella di cui sono presidente.
Per noi, la certificazione rappresenta un vero e proprio cammino, un processo che ha richiesto la creazione di comitati guida e di cinque sottogruppi trasversali, ognuno dedicato a un tema specifico: Welfare HR ed empowerment femminile, Territorio, Comunicazione, Compliance e codici etici, Sicurezza e Antiviolenza.
In particolare, sul contrasto alla violenza di genere stiamo lavorando all’elaborazione di un protocollo di sicurezza per i luoghi di lavoro. Vogliamo organizzare percorsi formativi per aiutare il nostro personale a riconoscere cosa costituisce una molestia o una violenza, come prevenirla e affrontarla. Inoltre, stiamo introducendo una formazione mirata sul linguaggio inclusivo, per promuovere un ambiente più equo e rispettoso”
2) La promozione dell'empowerment femminile, soprattutto attraverso il superamento della violenza economica, può contribuire a spezzare il ciclo della violenza di genere.
Quali politiche o azioni ritieni prioritarie in questo ambito?
Ritieni che ci sia la giusta consapevolezza, soprattutto delle nuove generazioni, sull’importanza che l’autonomia economica e finanziaria gioca nella lotta alla violenza di genere?
Anna Silvia Angelini: “La violenza economica, nello specifico, ha carattere trasversale: è indipendente dalle fasce di reddito, riguarda un’età compresa principalmente tra i 40 e i 60 anni, e affonda le radici nella relazione che le persone instaurano con il denaro sin dall’infanzia.
Questo tipo di violenza può essere considerato un modello di controllo che impedisce alla donna di guadagnare e di gestire in autonomia le risorse della famiglia e si concretizza in comportamenti dell’uomo volti a depotenziare la propria partner, appropriandosi del suo reddito o facendo in modo che non lavori. Queste condotte rendono la donna dipendente dal punto di vista economico e finanziario, privandola della possibilità di autodeterminarsi e della libertà di allontanarsi da eventuali situazioni di pericolo – un fenomeno che si verifica anche a livelli socioeconomici elevati.
Ancora non c'è la giusta consapevolezza nelle nuove generazioni, sull’importanza che l’autonomia economica e finanziaria gioca nella lotta alla violenza
Ecco perché è importante partire dalla prevenzione in ogni ambito partendo dalla famiglia insegnando la cultura del rispetto”.
Daniela Furlani: “Purtroppo, i dati parlano chiaro: il 37% delle donne italiane non possiede un conto corrente bancario a proprio nome. È importante sottolineare che questa percentuale non riguarda solo donne senza lavoro, ma include anche quelle che lavorano e che, nonostante ciò, non depositano il proprio stipendio su un conto personale.
Per me, i dati sono fondamentali perché offrono una fotografia realistica della situazione e dimostrano che non si tratta di episodi isolati, ma di un sistema che non funziona. E quando un sistema non funziona, limita inevitabilmente la qualità della vita.
Quando parliamo di equità di genere, infatti, stiamo parlando anche di libertà: la libertà di scegliere
un lavoro che piaccia, di avere un’autonomia finanziaria e di non dover sottostare a relazioni
tossiche.
La formazione rappresenta un elemento cruciale per superare questo divario. L’accesso a percorsi formativi, infatti, non solo consente di accrescere le proprie competenze, ma permette anche di immaginare e concretizzare l’idea di poterle sviluppare, dando vita a nuove opportunità e a un futuro più equo.
E’ necessario, quindi, investire in percorsi di formazione che prevedano una quota di accesso specifico alle donne per favorirne l’entrata nel mondo del lavoro in ambiti e settori oggi ancora fortemente sottorappresentati.
Un esempio virtuoso è un percorso di formazione organizzato in post pandemia grazie ad un fondo di solidarietà destinato al mondo dello spettacolo sostenuto da donazioni private. Sono stati organizzati due programmi di formazione, un corso di Direzione di Produzione e un corso di Rigging, che richiedeva la partecipazione paritaria di uomini e donne.
Sono arrivate 200 domande e i posti erano 60. L’esito del corso è stata la possibilità per alcune donne di diventare professioniste in una professione tipicamente maschile. sono stati organizzati due programmi di formazione, un corso di Direzione di Produzione e un corso di Rigging, che richiedeva la partecipazione paritaria di uomini e donne. Sono arrivate 200 domande e i posti erano 60. L’esito del corso è stata la possibilità per alcune donne di diventare professioniste in una professione tipicamente maschile”.
3) L'arte, la cultura e la creatività sono strumenti potenti per dare voce alle donne e valorizzarne il talento.
Quali strategie ritieni potrebbero essere messe in atto per garantire che questi settori diventino spazi di emancipazione economica e sociale per le donne?
In che modo il lavoro creativo e culturale può aiutare le donne a riconquistare autonomia economica e consapevolezza del proprio valore, specialmente in contesti di marginalizzazione o abuso?
Puoi condividere esempi concreti di progetti o iniziative artistiche e culturali che hanno avuto un impatto tangibile sul superamento della violenza economica e sulla promozione dell'empowerment femminile?
Anna Silvia Angelini: “Attraverso forme di inclusione e espressione culturale è importante diffondere il messaggio contro la violenza di genere con la creatività che può essere fonte di riflessione e ispirazione.
È fondamentale creare progetti dove le donne siano protagoniste, aiutandole con percorsi personalizzati a ritrovare l'autostima in sé stesse e inserirle nel mondo del lavoro.
In un mondo in continua evoluzione, l'empowerment femminile si fa strada come un importante catalizzatore di progresso e sviluppo.
È un concetto strettamente legato al "gender gap", o divario di genere, un fenomeno che riflette le disparità esistenti tra uomini e donne in diversi ambiti socio-economici. Questo divario si manifesta in aspetti come le differenze salariali, l'accesso all'istruzione, la rappresentanza politica, l'accesso ai servizi sanitari e la distribuzione del lavoro domestico. Le donne, purtroppo, spesso riscontrano svantaggi rispetto agli uomini in questi ambiti, limitando così le loro opportunità e potenziale. Secondo i dati del Global Gender Gap 2022 pubblicati dal World Economic Forum, ci vorranno 132 anni per raggiungere la piena parità.
In molti paesi, come in Africa sub-sahariana, il gender gap è particolarmente marcato. L'accesso all'istruzione è uno dei settori più colpiti, con molte ragazze che non frequentano la scuola a causa di gravidanze precoci o matrimoni forzati. Durante la pandemia in particolare, il divario si è ulteriormente acuito, con un aumento del lavoro domestico e di cura a carico delle ragazze, rendendo ancora più difficile per loro partecipare all'istruzione.
L'empowerment femminile si propone quindi di affrontare e ridurre questi divari: attraverso l'empowerment, le donne sono incoraggiate e supportate a rivendicare i loro diritti, a sfruttare appieno il loro potenziale e a partecipare attivamente a tutte le sfere della società.
In numerose regioni globali, l'empowerment delle donne rappresenta un obiettivo ancora in attesa di realizzazione. Nonostante la lotta delle donne per consolidare la propria autonomia e indipendenza sia incessante, l'ombra della disparità di genere persiste, creando barriere in svariati ambiti.
La promozione dell’empowerment femminile si concentra su una serie di aree chiave:
* Educazione, uno degli strumenti più potenti per promuovere l'empowerment delle donne. È fondamentale garantire che le donne abbiano accesso alle competenze e alle conoscenze che le consentano di esercitare un controllo completo sulla propria vita. L'educazione non solo migliora la capacità di leggere e scrivere, ma può anche fornire alle donne competenze utili per la vita quotidiana e per il loro percorso professionale. Ogni opportunità educativa può dunque aprire una porta verso l'autonomia e l'indipendenza.
* Autonomia economica e finanziaria, fondamentali per la loro indipendenza. Le donne devono avere le stesse opportunità degli uomini per accedere a risorse economiche, come l'istruzione, il lavoro e le opportunità finanziarie. Questo include il diritto di possedere ed ereditare proprietà, di essere pagate in modo equo per il lavoro svolto e di avere accesso a servizi finanziari. L'autonomia economica aiuta anche le donne a sfuggire dalla povertà, dalla violenza e dall'esclusione sociale.
* Salute e benessere: l'empowerment femminile richiede che le donne abbiano pieno controllo sulla propria salute e benessere, sia fisica che mentale. Ciò include l'accesso a servizi sanitari, la capacità di prendere decisioni informate sul proprio corpo e la propria salute sessuale e riproduttiva, nonché l'accesso a risorse e supporto per la cura della propria salute mentale.
* Partecipazione e leadership. Per realizzare pienamente l'empowerment femminile, le donne devono essere in grado di partecipare pienamente alla vita politica, economica e sociale del loro paese. Questo significa avere un posto al tavolo quando si prendono decisioni che influenzano le loro vite, dalle comunità locali ai governi nazionali e internazionali.
Daniela Furlani: “Investire in arte, cultura e creatività significa investire nel futuro delle donne e della società nel suo complesso. Attraverso strategie mirate e iniziative innovative, è possibile trasformare questi settori in veri motori di emancipazione economica e sociale. Le esperienze di empowerment femminile dimostrano che l’arte non è solo un’espressione estetica, ma un potente strumento di cambiamento, capace di abbattere barriere, dare forza e costruire un mondo più equo.
Diventa essenziale promuovere partnership tra pubblico e privato, coinvolgendo istituzioni, aziende e organizzazioni non governative per sostenere le donne nei settori artistici e culturali. Questo approccio sinergico può dare vita a iniziative strutturate e durature che abbiano un reale impatto sociale ed economico.
Spesso le donne appaiono invisibili, quindi è altrettanto importante valorizzare le narrazioni autentiche attraverso l’arte, incoraggiando produzioni che raccontino esperienze femminili e sensibilizzino il pubblico su temi come la parità di genere e il contrasto alla violenza.
Con Doc Creativity organizziamo dal 2020 Booming Contemporary Art, una fiera d’arte contemporanea indipendente che ha deciso di scardinare il concetto di “emergente”, non relegandolo più al mero dato anagrafico, ma collegandolo al significato letterale dell’essere in procinto di emergere e della necessità di far emergere. In questo senso si collega anche al duplice significato della parola “emergenza”. Emergenza come urgenza, ma anche come momento di criticità foriero di cambiamenti. Tra le diverse sezioni c’è quella dedicata ai Femminismi, perché le donne sono come in qualsiasi altro ambito tuttora sottorappresentate e penalizzate anche nel sistema e nel mercato dell’arte. Parteciperanno figure femminili dirompenti nel panorama artistico nazionale e internazionale, oltre che artist* che hanno fatto della tematica femminile e femminista il cardine della loro ricerca, decostruendone e ricostruendone le fondamenta culturali e storiche e analizzandone i punti sensibili.
L’approccio sarà come per tutte le edizioni al plurale, nel cogliere la diversità dei punti di vista, dei
vissuti e delle approssimazioni a una materia complessa, stratificata, tuttora ribollente di proiezioni,
violenze di genere e contraddizioni.
Riteniamo che l’arte, così come le altre discipline creative e culturali, sia un mezzo potente di comunicazione. Il punto di vista delle donne ha il potenziale per generare un forte cambiamento culturale, offrendo una narrazione della realtà più completa, vera e inclusiva”.
VIOLENZA CONTRO LE DONNE: UNA LETTURA DEL FENOMENO
“La violenza contro le donne non è un fenomeno nuovo, né lo sono le sue conseguenze per la salute fisica, mentale e riproduttiva delle donne. La novità è il crescente riconoscimento che gli atti di violenza contro le donne non siano eventi isolati, ma piuttosto formano un modello di comportamento che viola i diritti delle donne e delle ragazze, limita la loro partecipazione alla società e danneggia la loro salute e il loro benessere. Se studiato sistematicamente, [..] , diventa chiaro che la violenza contro le donne è un problema di salute pubblica globale che colpisce circa un terzo delle donne a livello globale”[1].
Il rapporto pubblicato dall'OMS, in collaborazione con la London School of Hygiene & Tropical Medicine e la South African Medical Research Council, sottolinea come la violenza comporta un’esperienza traumatica vissuta da oltre il 35% delle donne in tutto il mondo: la violenza contro le donne interessa 1 donna su 3.
“La punta dell’iceberg della violenza è rappresentata dagli omicidi, che sono stabili nel tempo per le donne. La diminuzione generalizzata degli omicidi volontari consumati ha riguardato in misura decisamente maggiore il genere maschile (Grafico 1), che ha beneficiato negli ultimi venti anni della forte contrazione dei livelli di vittimizzazione e degli omicidi da parte della criminalità organizzata di tipo mafioso, le cui vittime sono quasi esclusivamente uomini”[2].
Grafico 1: Vittime di omicidio volontario per genere. Anni 1992-2020 (valori per 100.000 abitanti)
“Gli omicidi di donne e ragazze per motivi di genere (femminicidio/femminicidio) sono la manifestazione più estrema e brutale di violenza contro le donne e colpiscono tutte le regioni e i paesi del mondo”[3].
La Figura 1 colloca l'oggetto del quadro statistico (uccisione di donne e ragazze per motivi di genere - femminicidio/femminicidio-) nel contesto più ampio delle uccisioni che hanno come bersaglio le donne.
Figura 1
Studi nazionali e internazionali sugli omicidi di donne e ragazze correlati al genere (femminicidio/ femminicidio), registrano una serie di caratteristiche connesse alla relazione tra autore e vittima e in relazione al modus operandi o al contesto dell'omicidio intenzionale (vedere la Figura 2). Dalla registrazione e dalla raccolta di queste caratteristiche, è possibile identificare i tre blocchi di dati per il conteggio degli omicidi correlati al genere sopra elencati e produrre dati statistici pertinenti.
Figura 2[4]
In Italia i dati Istat mostrano che “il 31,5% delle 16-70enni (6 milioni 788 mila) ha subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale: il 20,2% (4 milioni 353 mila) ha subito violenza fisica, il 21% (4 milioni 520 mila) violenza sessuale, il 5,4% (1 milione 157 mila) le forme più gravi della violenza sessuale come lo stupro (652 mila) e il tentato stupro (746 mila)”[5].
L’aggiornamento dei dati, secondo l’Istat, non presenta un miglioramento, anzi: “nel 2022-2023 si stima che il 13,5% delle donne di 15-70 anni, che lavorano o hanno lavorato, abbia subito molestie sul lavoro a sfondo sessuale nel corso dell'intera vita (soprattutto le più giovani di 15-24 anni, 21,2%) e il 2,4% degli uomini di 15-70 anni. In particolare si tratta di sguardi offensivi, offese, proposte indecenti, fino ad atti più gravi come la molestia fisica.
Limitatamente agli ultimi tre anni precedenti la rilevazione del 2022-2023, le quote si fermano al 4,2% per le donne e l’1% per gli uomini.
Come mostra la Figura 3, le molestie vengono subite anche al di fuori del mondo del lavoro: nello stesso periodo di riferimento, ne sono state vittime il 6,4% delle donne dai 14 ai 70 anni e il 2,7% gli uomini della stessa età. Poco più della metà di queste molestie avviene tramite l’uso della tecnologia (messaggi email, chat o social media)”[6].
Come descritto nella Figura 4, una chiave di lettura in termini di violenza di genere è fornita dall’esame della relazione tra gli attori dell’omicidio.
Figura 4
“La maggior parte di questa violenza è violenza del partner intimo. [Come si può evincere dalla Figura 5, infatti,] in tutto il mondo, quasi un terzo (30%) di tutte le donne che hanno avuto una relazione hanno subito violenza fisica e/o sessuale dal loro partner intimo. In alcune regioni, il 38% delle donne ha subito violenza del partner intimo. A livello mondiale, fino al 38% degli omicidi di donne vengono commessi dai partner”[7].
Figura 5
Anche i dati forniti dall’Istat dimostrano come “le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner, parenti o amici. Gli stupri sono stati commessi nel 62,7% dei casi da partner, nel 3,6% da parenti e nel 9,4% da amici. Anche le violenze fisiche (come gli schiaffi, i calci, i pugni e i morsi) sono per la maggior parte opera dei partner o ex”[8].
I numeri, inoltre, ci dicono come “ha subito violenze fisiche o sessuali da partner o ex partner il 13,6% delle donne (2 milioni 800 mila), in particolare il 5,2% (855 mila) da partner attuale e il 18,9% (2 milioni 44 mila) dall’ex partner.
La maggior parte delle donne che avevano un partner violento in passato lo hanno lasciato proprio a causa delle violenza subita (68,6%). In particolare, per il 41,7% è stata la causa principale per interrompere la relazione, per il 26,8% è stato un elemento importante della decisione”[9].
Il Grafico 2 può darci un’esaustiva e chiara visione della tipologia di violenza fisica e sessuale subita da una donna, italiana o straniera, ad opera di un uomo, sia lui partner, ex o attuale, o non partner.
Grafico 2: Donne dai 16 ai 70 anni che hanno subito nel corso della vita violenza fisica o sessuale da un uomo per tipo di autore, tipo di violenza subita e cittadinanza. Anno 2014 (per 100 donne con le stesse caratteristiche)
La ricerca realizzata in Italia sul tema della tipologia delle forme di violenza subite dalle donne rileva come: “oltre alla violenza fisica o sessuale le donne con un partner subiscono anche violenza psicologica ed economica, cioè comportamenti di umiliazione, svalorizzazione, controllo ed intimidazione, nonché di privazione o limitazione nell’accesso alle proprie disponibilità economiche o della famiglia.
Nel 2014 sono il 26,4% le donne che hanno subito volenza psicologica od economica dal partner attuale e il 46,1% da parte di un ex partner”[10], come dimostrato dal Grafico 3.
Grafico 3: Donne dai 16 ai 70 anni che hanno subito sempre o spesso violenza psicologica dal partner attuale, per tipologia di violenza psicologica. Anno 2006 e 2014 (per 100 donne con il partner attuale)
Un altro tema interessante da prendere in esame quando si parla di violenza di genere, è quello delle molestie a sfondo sessuale subite in ambito lavorativo dalle donne.
Con la Legge n.4 del 15 gennaio 2021 l’Italia ha ratificato la Convenzione n.190 dell’International Labour Organization (ILO) sull’eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro[11]. La Direttiva UE (2006/54/CE) (10) definisce le molestie sessuali come “qualsiasi forma di comportamento indesiderato, verbale, non verbale o fisico, di natura sessuale, avente lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una persona, in particolare quando crea un ambiente intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo” (articolo 2, paragrafo 1, lettera d). La stessa Direttiva richiede il monitoraggio del fenomeno della violenza, con un'attenzione specifica alla vita lavorativa.
“In ottemperanza alla citata Legge 4/2021, l’Istat ha raccolto i dati inerenti le molestie sul lavoro con
procedura armonizzata con Eurostat. [Come descritto nel grafico 4,] sono circa 2 milioni e 322mila le persone tra i 15 e i 70 anni che hanno subito una forma di molestia sul lavoro nel corso della vita, di cui l’81,6% donne (pari a circa 1 milione 895mila, il 13,5% del totale delle donne tra i 15 e i 70 anni). A queste si aggiungono le donne che hanno subito ricatti sessuali sul lavoro, pari a 298mila. Le donne tra i 15 e i 70 anni che hanno subito una qualche forma di molestia o un ricatto per ottenere un lavoro e/o avere un avanzamento di carriera costituiscono circa il 15% del totale delle donne tra i 15 e i 70 anni (circa 2 milioni 68mila donne), mentre gli uomini che hanno subito molestie sessuali nel mondo del lavoro (ad eccezione dei ricatti) sono il 2,4% (circa 427mila). Negli ultimi tre anni precedenti la rilevazione del 2022-2023, il 4,2% delle donne di 15-70 e l’1% degli uomini della stessa età ha subito molestie sul lavoro; negli ultimi dodici mesi i tassi sono pari rispettivamente a 2,1% e 0,5%”[12]
Grafico 4
“Sono vittime di molestie sul lavoro in particolare i giovani (sia donne sia uomini) entrati da poco nel mercato del lavoro: 12% tra i 15-24enni e 10,8% dei 25-34enni. Le molestie sul lavoro colpiscono prevalentemente le giovani donne, 21,2% nella fascia di età compresa tra i 15 e i 24 anni, contro il 4,8% dei coetanei uomini. Di poco inferiore è l’incidenza percentuale delle donne di età compresa tra i 25 e i 34 anni (18,9%, rispetto al 3,7% degli uomini). [..] Confrontando i dati con riferimento al genere nei diversi periodi considerati, si osserva che, nel corso della vita, le donne sono state vittime di molestie 4,5 volte in più rispetto agli uomini”[13].
Grafico 5
PREVENZIONE E FORMAZIONE DI GENERE: EMPOWERMENT ED INDIPENDENZA ECONOMICA
“Secondo l'Agenzia europea per i diritti fondamentali, quasi una donna su quattro (22%) subisce violenza fisica e / o sessuale in una relazione con un uomo. Le sue cause sono spesso correlate alla povertà, alla dipendenza economica e alla discriminazione di genere. La mancanza di indipendenza economica è una delle principali sfide che le donne devono affrontare quando cercano di lasciare il loro partner violento. I centri antiviolenza in tutta Europa riconoscono che le donne spesso rimangono in rapporti violenti a causa della loro dipendenza finanziaria dal partner violento. Questo problema è accompagnato dal fatto che le donne sono notevolmente sottorappresentate nel mercato del lavoro e nei ruoli manageriali, con il tasso di occupazione femminile complessivo ancora inferiore a quello degli uomini”[14].
C’è una condizione comune che spesso impedisce alle donne di uscire da una situazione di violenza: l’essere economicamente dipendenti dal partner e, anche per questo, non riuscire a interrompere la relazione abusiva e violenta.
Secondo l’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (FRA) “le donne che hanno subito violenza sono maggiormente esposte a difficoltà economiche: il 39% delle donne che hanno avuto in passato una relazione violenza dichiarano di avere difficoltà economiche, contro il 26% delle donne che non hanno avuto partner violenti”[15].
“Le disuguaglianze strutturali affrontate dalle donne a ogni livello contribuiscono al manifestarsi di tali problematiche: ad esempio la scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro formale, il persistente divario salariale tra donne e uomini, mancanza di servizi all’infanzia di qualità e a basso prezzo. Questo si traduce in pensioni più basse per le donne e forte dipendenza dall’assistenza pubblica e ad altre misure di welfare. Le donne che subiscono violenza, specialmente dopo la separazione, sono soggette a povertà per diverse ragioni. Nella maggior parte dei casi sono senza mezzi finanziari, senza un posto in cui vivere e l’accesso al mercato del lavoro è molto difficile per loro”[16].
Nonostante però le donne esposte alla violenza domestica possano appartenere ad ogni contesto sociale, dai dati emerge che le caratteristiche sociali, etniche ed economiche influiscano sulla percentuale di possibilità che questo avvenga. In modo più specifico, donne con status economici bassi tendono a farne esperienza più frequentemente e più gravemente avendo poche risorse e scarso accesso alle misure di protezione. Barriere strutturali come la povertà, basso livello educativo, scarso accesso alle informazioni rendono più difficile l’uscita dalla violenza, in quanto queste barriere limitano la conoscenza delle donne sulle risorse disponibili e le loro possibilità di indipendenza economica. Le questioni legate all’indipendenza economica come una via d’uscita da situazioni violente sono cruciali per questo gruppo di donne”[17].
Per tutti i motivi descritti l’’indipendenza economica è, quindi, ampiamente riconosciuta come un prerequisito che permette a entrambi, donne e uomini, di esercitare controllo sulle proprie vite e fare scelte informate.
Il paragrafo 26 della Dichiarazione di Pechino adottata durante la Quarta Conferenza Mondiale sulle Donne (1995) fa menzione a un chiaro impegno degli Stati a: “promuovere l’indipendenza economica delle donne, in particolare attraverso l’accesso all’occupazione, ed eliminare il perdurante e crescente peso della povertà sulle donne, affrontando le cause strutturali della povertà per mezzo di cambiamenti nelle strutture economiche che assicurino a tutte le donne [..] parità di accesso, in quanto protagoniste”[18]
Secondo i principali studi al riguardo “l’indipendenza economica si riferisce a una condizione in cui donne e uomini hanno accesso a una vasta gamma di opportunità e risorse economiche – come lavoro, servizi, reddito disponibile sufficiente – in modo che possano esercitare controllo sulle proprie vite, rispondere ai propri bisogni e a quelli delle persone a loro carico e prendere decisioni consapevoli. Il concetto di indipendenza economica delle donne riconosce le donne come attrici economiche che contribuiscono all’attività economica e dovrebbero poterne beneficiare in condizioni di uguaglianza rispetto agli uomini, e riconosce che l’indipendenza economica può avere un ruolo importante nel rafforzamento dello status delle donne nella società e nella famiglia. Generalmente, l’occupazione viene riconosciuta come la via principale per essere economicamente indipendente e sfuggire alla povertà. Questo è anche più vero nel caso dell’indipendenza economica, che è strettamente connessa con il riconoscimento e la valorizzazione del lavoro delle donne. Questo significa, in particolare, che la qualità dell’occupazione e le condizioni lavorative sono particolarmente rilevanti: scarse condizioni di lavoro (per esempio salario basso, lavoro precario, part-time forzato, interruzione della carriera lavorativa, etc.) e la difficoltà nel rimanere e crescere nel mercato del lavoro possono infatti comportare redditi bassi e discontinui, scarse opportunità di formazione e, in molti Paesi, scarso accesso a misure di protezione sociale e quindi minori diritti alla pensione, fino a una maggiore esposizione al rischio povertà”[19].
Per prevenire, quindi, qualsiasi forma di abuso, occorre affrontare i fattori sociali e culturali associati alla violenza femminile. In questo senso, comprendere le disuguaglianze tra uomini e donne in ambito economico è importante per combattere la violenza sulle donne.
Se si intende, perciò, combattere le forme di discriminazioni di genere presenti a livello sociale, individuate come possibili cause della creazione di contesti e situazioni in cui possono generarsi contesti in cui le donne divengono vittime di violenza, occorre realizzare progetti per la creazione ed il supporto di attività di empowerment economico femminile, secondo l’idea per la quale “la variazione nella prevalenza della violenza osservata all'interno e tra comunità, paesi e regioni, evidenzia che la violenza non è inevitabile e che può essere prevenuta”[20].
Per i centri antiviolenza in Italia concepiscono il concetto di empowerment come quel “processo di consapevolezza, sviluppo dell’autonomia e rafforzamento dell’autostima e del potere della donna sulle sue risorse e sulle decisioni che hanno impatto sulla sua vita” . Allo stesso tempo, rappresenta “un processo attraverso il quale le donne rafforzano le loro capacità, il loro ruolo, autonomia e autostima, come persone e come gruppo sociale, per promuovere i cambiamenti e trasformare i rapporti di potere” [21].
Nonostante vi siano numerose proposte e azioni rivolte alla promuovere l'indipendenza economica delle donne, l'empowerment economico femminile è ancora un'area poco sviluppata.
Per questo motivo risulta fondamentale creare progettualità tese a incentivare l’empowerment femminile. “Spesso i programmi per l'inserimento lavorativo o i programmi di formazione spesso rischiano di rafforzare le uguaglianze di genere in ambito economico, in quanto i settori ad alta presenza femminile e caratterizzati da basse retribuzioni sono spesso l'unica opportunità di lavoro di facile acceso per le donne che vogliono sottrarsi a relazioni violente. Sono ancora poco sviluppate le conoscenze su come implementare programmi di empowerment economico sensibili alle questioni di genere in grado di contribuire a eliminare le disuguaglianze in tutte gli ambiti della vita”[22].
L’empowerment è un processo dinamico che mira a uno sforzo personale che sociale: “per essere un processo veramente trasformativo, l'empowerment dovrebbe avere sia una dimensione individuale, sia una dimensione collettiva e sociale.
A livello individuale, i cambiamenti mirano al raggiungimento di livelli più elevati di fiducia in se stesse, di autostima e di potere di negoziazione per i propri interessi.
Dal punto di vista sociale e di gruppo, un processo di empowerment implica il rafforzamento del legame tra donne, nel riconoscimento e supporto reciproci per affrontare problemi comuni e avanzare nella difesa di interessi comuni. Nella dimensione collettiva, vengono generati cambiamenti sociali, politici ed economici, volti a sradicare le discriminazioni di genere in tutti i settori delle relazioni sociali e della struttura sociale.
L’empowerment delle donne è perciò un costante esercizio di libertà. [..] L'empowerment è un processo attraverso il quale le donne trovano il proprio modo di relazionarsi alla pari con gli altri, comprendono i loro diritti e la necessità di trasformare la loro condizione. È un processo lungo, non necessariamente facile e può presuppone un sostegno esterno per costruire la capacità di pensare in modo libero e indipendente. L'empowerment implica anche la sensibilizzazione al diritto di avere diritti e la conquista della fiducia di poter raggiungere i propri obiettivi. Attraverso il processo di empowerment le donne possono prendere decisioni e avere controllo sul proprio corpo, avendo consapevolezza che all’origine della violenza vi è la necessità di esprimere potere e controllo su un’altra persona.
L'empowerment non è concepito come un obiettivo finale, ma come un processo di trasformazione multidimensionale”[23].
Promuovere l’empowerment economica per le donne implica, in questo senso, saper affrontare sfide complesse che richiedono una varietà di competenze che spesso vanno oltre a quelle delle operatrici dei Centri antiviolenza. La collaborazione con altre realtà, sia pubbliche sia private, è pertanto necessaria per massimizzare l'impatto degli interventi.
“Uno dei principali ostacoli che spesso le organizzazioni femministe e i Centri antiviolenza incontrano è il loro isolamento. Lavorare per l'empowerment delle donne che hanno subito violenza richiede uno sforzo che i Centri non possono affrontare da soli. Un approccio olistico al sostegno delle donne che hanno subito violenza significa istituire meccanismi di coordinamento con altre realtà e istituzioni per implementano attività complementari a quelle dei Centri, permettendo di ottimizzare le risorse umane e finanziarie a disposizione. [..] In secondo luogo, i Centri antiviolenza spesso devono far fronte alla scarsità di risorse che mettono a rischio la sostenibilità dei loro interventi”[24]
IL TALENTO COME LEVA PER L’EMPOWERMENT FEMMINILE
Secondo l’ultimo rapporto sui livelli di istruzione e ritorni occupazionali relativi al 2021 pubblicato dall’Istat, nonostante in Italia la quota di donne laureate superi quella maschile (23, 1% contro il 16,8%), l’iniziale vantaggio in termini di istruzione più elevata non si traduce poi nella conquista di posti di lavoro. Il tasso di occupazione femminile è, infatti, inferiore a quello maschile (55,7% contro il 75,8%)[25]. Questo dimostrato anche dal fatto che, come rilevato dalla pubblicazione annuale del report “Global Gender Gap Index” del World Economic Forum (WEF), che misura in 146 Paesi il divario di genere in termini di partecipazione economica e politica, salute e livello di istruzione, nella graduatoria globale l’Italia risulta al 79esimo posto[26].
Nonostante l’attuale criticità, però, ci sono segnali che lasciano intravedere che la vittoria sul gender gap, è un obiettivo possibile, per la creazione di una società più giusta ed inclusiva, che veda finalmente una partecipazione più attiva, consapevole e forte delle donne nel mondo del lavoro.
Questa fondamentale sfida potrebbe vinta solo valorizzando il talento di ogni donna, inteso non più come qualità o dote eccezionale, bensì come valore potenziale, troppo spesso inespresso, da riconoscere e coltivare.
La parola talento deriva dal greco “Talentum”, ovvero l’unità di misura di massa e peso corrispondente a 60 mine e a 6000 dramme. Il suo significato più noto della parola talento nel corso degli anni la fa corrispondere alla moneta di conto utilizzata nella antica Grecia ed in Palestina. Nella “Parabola dei talenti”, tratta dal Vangelo Secondo Matteo, i talenti venivano raffigurati come i doni che Gesù distribuisce ai servi del Signore, gli esseri umani. Ai giorni nostri, invece, il talento viene definito come “l’eccellenza di chi si segnala per le sue abilità in un determinato ambito”[27].
Una spiegazione più ampia che può meglio descrivere, cosa significhi la parola talento, è quella che la indentifica come quel processo creativo grazie al quale possiamo mettere in pratica la nostra vocazione ed il nostro potenziale. La “Teoria della Ghianda”, tratta dal libro “Il codice dell’anima” di James Hillman, può aiutare a chiarire cosa si intende quando si utilizzano i concetti quali vocazione e potenziale in relazione al talento. Lo psicologo junghiano, infatti, sostenne che: “Ogni individuo fin da bambino è come una piccola ghianda, racchiude in sé tutte le potenzialità sufficienti per poter crescere e diventare un maestoso albero di quercia”. Il potenziale umano, quindi, rappresenta l’insieme delle qualità del carattere che contraddistinguono ciascuno, ma che ancora non si traduce in potere, come se rimanesse sullo sfondo, sopito. Tutti noi nasciamo con una dotazione che ci caratterizza e che potenzialmente è sviluppabile per compiere azioni e per esprimerci in maniera ottimale. Tale dotazione varia da individuo a individuo per influenza di fattori genetici ed evolutivi. Secondo questa teoria, quando la vocazione si palesa, quando le condizioni contestuali e quando la volontà soggettiva sono idonee, è essa stessa che chiama a raccolta le potenzialità caratterizzanti l’individuo affinché vengano allenate e sviluppate attraverso l’azione, dando origine a quelle competenze o abilità che daranno piena espressione al talento.
Il talento, in questo senso, rappresenta il bene prezioso che può portare una donna alla piena realizzazione di se stessa attraverso l’attribuzione consapevole di senso e significato alle azioni che compie. Tali azioni, guidate da una forte motivazione intrinseca e consapevole, frutto di un intenso sforzo ed impegno costante, con l’influenza dell’ambiente sociale, relazionale e fisico in cui si vive (che può essere talvolta favorevole talvolta limitante), danno origine a prestazioni, prodotti o effetti che sono l’espressione massima e concreta del potenziale di cui ognuna è portatrice. Sono dunque la creatività, la consapevolezza e la capacità gli ingredienti che compongono ciascun talento. Talento che è come un’energia che ciascuna ha dentro di sé, che non si esaurisce con il passare degli anni, che non ha un’età anagrafica e che non va mai soffocata, che ci può condurre all’auto-realizzazione femminile. Come una forza, una risorsa più o meno nascosta, che ogni giorno ci dice che abbiamo sempre una possibilità.
Ecco perché il talento può essere considerato come leva per l’empowerment femminile.
E se è vero che tutti hanno un talento, qualcosa di speciale, un potenziale che esiste in ciascuno, virtù da realizzare, allo stesso tempo esiste una netta e sostanziale differenza: alcuni lo coltivano, mentre altri lo sottovalutano, trascurandolo. Il talento, infatti, è come un seme pronto a germogliare. Un seme che riguarda il saper essere, ovvero la forza del carattere, che aspetta di poter essere tradotto in nuovi comportamenti, nuove risorse. Più questo seme verrà annaffiato, giorno dopo giorno, più potrà crescere e diventare forte. Idea che ritroviamo nelle parole nel Vangelo di Matteo che recita: “Il talento è un dono ricevuto da rendere produttivo”. E nell’aforisma popolare di Thomas A. Edison, che sostiene: “Il genio è 1% ispirazione, 99% sudore”. Da entrambe le lezioni si può, dunque, trarre l’insegnamento per cui ciascuna è davanti alla scelta di liberare l’opera d’arte che custodisce dentro. Il talento, perciò, interpretato come dote particolare, concretamente visibile nel risultato eccellente di prestazioni di tipo operativo-produttivo oppure relazionale, non può esistere senza che vi sia un allenamento, un impegno, uno sforzo sistematico e volontario, atto a sviluppare le potenzialità trasformandole in competenze sempre più performanti e di livello.
La questione più importante, quindi, laddove il talento viene concepito come risultato di un processo di espressione creativa della vocazione e delle potenzialità di ciascuna, è comprendere come sia possibile mettere a fuoco ed illuminare il talento di ciascuna.
A questo scopo e per promuovere un empowermet femminile, occorre perciò valorizzare il protagonismo delle donne nella nostra società a partire dai temi della formazione e della valorizzazione del loro ruolo nel mondo del lavoro.
Abbiamo, infatti , descritto come, uno dei modi primari e indispensabili per combattere la violenza di genere, “sia quello di permettere a tutte le donne l’emancipazione economica, l’autodeterminazione nel mondo del lavoro affinché ogni donna possa, al primo segnale di comportamento “spia” di violenza sia psicologica che fisica, smarcarsi immediatamente dall’uomo compagno o marito, nella consapevolezza e nella certezza di non dovere dipendere economicamente dall’egemonia di quell’uomo che esprime segnali di violenza nei suoi confronti. Il primo vero modo di prevenire la violenza è non permettere alle donne la violenza economica, cioè non permettere alle donne di dipendere economicamente dall’uomo, ma concedere ad ogni donna inclusione nel mondo del lavoro che le conferirà l’autonomia finanziaria necessaria”[28].
La ricerca e l’espressione del talento delle donne, attraverso l’attivazione di percorsi di formazione e di professionalizzazione, diventano, quindi, leve fondamentali per il raggiungimento di un empowermet ed un benessere femminile , tali da poter prevenire qualsiasi forma di violenza di genere.
CULTURA E CREATIVITA’ PER LA GENERAZIONE DI BENESSERE FEMMILE
L'eliminazione della violenza contro le donne è un impegno fondamentale dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Gli Stati membri si sono impegnati a fare del mondo un luogo "in cui ogni donna e ragazza goda di piena uguaglianza di genere e tutte le barriere legali, sociali ed economiche alla loro emancipazione siano state rimosse"[29]. L'Agenda 2030 ha rilevato che “il raggiungimento del pieno potenziale umano e dello sviluppo sostenibile non è possibile se a metà dell’umanità continuano a essere negati i suoi pieni diritti umani e le sue opportunità”[30].
“Come affermato nella Raccomandazione generale n. 35 del Comitato per l'eliminazione della discriminazione contro le donne[31], la violenza di genere è [infatti] uno dei mezzi sociali, politici ed economici fondamentali attraverso i quali vengono perpetuati la posizione subordinata delle donne rispetto agli uomini e i loro ruoli stereotipati. Rimane un ostacolo critico al raggiungimento di una sostanziale uguaglianza tra donne e uomini, nonchè al godimento da parte delle donne dei diritti umani e delle libertà fondamentali”[32]
E se, come descritto, per prevenire la violenza di genere occorre garantire percorsi d’inclusione nel mondo del lavoro alle donne, in modo tale che esse abbiano un’autonomia finanziaria, e la possibilità di attivare processi di espressione delle vocazioni, delle potenzialità, nonché del proprio talento, il lavoro artistico, culturale e creativo può rappresentare una leva essenziale per raggiungere questo scopo.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), infatti, attraverso uno studio rivoluzionario pubblicato a fine 2019, ha dimostrato l’efficacia delle attività culturali e creative come fattore di promozione del benessere individuale (dalla salute fisica alla soddisfazione per la vita), nonché come risposta ai bisogni specifici di salute, benessere, inclusione ed empowerment da parte di segmenti di popolazione[33].
E’ a partire da queste considerazioni che diviene opportuno, quindi, per sostenere l’emancipazione economica delle donne, nel tentativo di aumentare il loro empowerment sociale ed economico e con l’obiettivo finale di farle diventare autonome, autosufficienti ed in grado di vivere una vita in cui non debbano essere sottoposte a forme di violenza da parte del partner intimo, promuovere la creazione di un percorso formativo teso a supportare la generazione di attività professionali, culturali e creative Made in Italy.
Inoltre, la creatività è, per sua natura, generativa e – quindi – femminile.
In natura, infatti, tutto ciò che è generativo è femminile (si potrebbe dire femminino) non tanto nel senso di sesso ma di sensibilità: la Terra è madre in quasi tutte le culture del mondo, in molte lingue ‘mare’ ha una declinazione femminile, molte divinità antiche sono femminili, incluse quelle della caccia e della guerra, intese non come attività volte alla distruzione e alla supremazia, ma come forme di tutela della sopravvivenza della specie. Continuando a guardare alle nostre origini culturali, a tutte le longitudini si trovano storie e leggende di comunità femminili, fondate sulla parità e la sorellanza: dalle amazzoni, alle ‘streghe’ (per lo più donne che praticavano la botanica e l’erboristeria), ai conventi protocristiani di monache. Da tutto ciò si evince che – al di là dei vincoli educativi e culturali – tutte le donne sono, per loro stessa natura, creative (in quanto generative) e solidali (perché capaci di esercitare leadership orizzontali e condivise).
L’arte, la cultura e la creatività possono allora, in questo senso, diventare veri e propri strumenti per quella che rappresenta una delle lotte e delle battaglia più importanti e necessarie che devono essere affrontate a livello sociale nel mondo: quella alla violenza di genere.
“La violenza contro le donne è diffusa a livello globale. I risultati inviano un messaggio forte: la violenza contro le donne non è un piccolo problema che si verifica solo in alcune sacche della società, ma piuttosto un problema di salute pubblica globale di proporzioni epidemiche, che richiede un'azione urgente. È tempo che il mondo agisca: una vita libera dalla violenza è un diritto umano fondamentale, che ogni donna, uomo e bambino merita”[34].
Per completare l’analisi del tema dell’articolo ho intervistato ANNA SILVIA ANGELINI E DANIELA FURLANI:
Anna Silvia Angelini
Presidente A.I.D.E. Nettuno APS Associazione Indipendente Donne Europee che fonda nel 2013, scrittrice, ambasciatrice Accademia delle scienze umane, studiosa in criminologia, specialista in Violenza di genere e Procedure di Intervento nei casi di Violenza Domestica.
Protocollo d’intesa per il Codice rosa con la ASL Roma 6 dal 2017.
Nel 2019 crea una rete nazionale di 30 associazioni per la campagna antiviolenza “Una rosa per tutte”.
Nel 2019 esce il suo primo libro “La Violenza declinata” edito da Berton, presentato a marzo 2020 su RAI3 al TG “Buongiorno Regione”.
Nel 2021 il libro la “Violenza Declinata” viene premiato dalla Regione Lazio.
Nel 2022 esce il suo secondo libro
“Legate da un sottile filo rosso” sempre edito da Bertoni.
Scrive e collabora per testate giornalistiche online e cartacee.
Molto attiva nel sociale, dirige e fonda nel 2013 il centro d’ascolto Antiviolenza “Uscita di Sicurezza” di cui si occupa personalmente.
Direttore organizzativo, del centro antiviolenza “Linea Donna” a Roma, in collaborazione con Tutela Donne.
A marzo 2020, intervistata da RAI3, Buongiorno Regione, con un servizio dedicato al centro d’ascolto antiviolenza “Uscita di Sicurezza”.
Nel 2021 ospite a Porta a Porta RAI1.
Nel 2024 ospite ad “Agorà” RAI3.
Organizzatrice del Premio Istituzionale Donna D’autore presso Palazzo Montecitorio Sala della regina.
Pensiamo ad una Donna più protagonista sia nella famiglia che nella società.
L'associazione promuove azioni per la valorizzazione umana e culturale della persona, anche attraverso la realizzazione di politiche sociali a favore della famiglia e delle donne ed azioni tali da favorire le Pari Opportunità. Pensiamo alle iniziative tese a promuovere l’impresa al femminile, pensiamo alle grandi capacità artistico-artigianali proprie del nostro territorio e tipicamente femminili che hanno bisogno di fare un salto di qualità. Incontri a sostegno della salute e della prevenzione.
Anna Silvia Angelini ha ricevuto il riconoscimento di numerosi premi;
- nel 2015 Premio Internazionale dall’Accademia delle Scienze Umane.
- 2016 Diploma di merito Accademia Costantina.
- 2019 Premio della Critica “La voce dei Poeti” per il libro “La Violenza Declinata”
2020 Premio culturale internazionale Cartagine Campidoglio
Premio Colosseo D’oro 2021.
2021 Laurea Honoris Causa in Scienze della Comunicazione dall’accademia Cartagine.
2021 Premiata dalla Regione Lazio per il libro “La Violenza Declinata”
2022 “Scrittrice dell’anno”
2023 Premio “Donne che ce l’hanno fatta” Palazzo Valentini roma
2024 Premio Tridente D’oro.
2024 “Premio le stelle di Esse”
2024 Premio Athena D'oro
Daniela Furlani
Laureata in Economia e Commercio, è in Doc Servizi dal 2007.
Inizialmente assunta nella filiale di Verona, ne è anche stata responsabile fino al suo ingresso nel consiglio di amministrazione di Doc Servizi nel 2015.
Da allora ha l’incarico di responsabile dello Sviluppo del Territorio e del Coordinamento delle Filiali di Doc Servizi e della rete Doc, modello di piattaforma cooperativa in cui socie e le socie e imprese partecipano in modo collettivo con l’interesse comune di generare lavoro, valore e tutele.
Dal 2023 è Responsabile delle Politiche di parità di Genere per il network Doc.
Dal 2017 è la Presidente di Doc Creativity, la cooperativa della rete Doc che si occupa dei professionisti e delle professioniste dell’industria culturale e creativa.
Per Doc Creativity approfondisce tematiche e bisogni legati alle professioni creative in modo da far emergere il valore di ogni singolo professionista.
Doc Creativity
Doc Creativity si occupa della tutela, della formazione e dello sviluppo di chi lavora nella creatività: fotografia, audiovisivo, comunicazione, grafica, web design, graphic design, pittura, scultura, game design ed hand made.
La cooperativa fa parte di Rete Doc, il più grande network italiano delle professioni e delle professioniste dello spettacolo, la cultura, la creatività e il digitale.
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[1] Rapporto dell'OMS “Valutazione globale e regionale della violenza contro le donne: diffusione e conseguenze sulla salute degli abusi sessuali da parte di un partner intimo o da sconosciuti”, p. 1
https://iris.who.int/bitstream/handle/10665/85239/9789241564625_eng.pdf?sequence=1
[2] https://www.istat.it/it/violenza-sulle-donne/il-fenomeno/omicidi-di-donne
[3] https://www.istat.it/wp-content/uploads/2024/02/Statistical_framework_femicide_2022.pdf
[4] https://www.istat.it/wp-content/uploads/2024/02/Statistical_framework_femicide_2022.pdf
[5] https://www.istat.it/it/violenza-sulle-donne/il-fenomeno/violenza-dentro-e-fuori-la-famiglia/numero-delle-vittime-e-forme-di-violenza
[6] https://www.istat.it/wp-content/uploads/2024/07/REPORT-Molestie.pdf
[7] https://iris.who.int/bitstream/handle/10665/85239/9789241564625_eng.pdf?sequence=1
[8] https://www.istat.it/it/violenza-sulle-donne/il-fenomeno/violenza-dentro-e-fuori-la-famiglia/numero-delle-vittime-e-forme-di-violenza
[9] https://www.istat.it/it/violenza-sulle-donne/il-fenomeno/violenza-dentro-e-fuori-la-famiglia/numero-delle-vittime-e-forme-di-violenza
[10] https://www.istat.it/it/violenza-sulle-donne/il-fenomeno/violenza-dentro-e-fuori-la-famiglia/numero-delle-vittime-e-forme-di-violenza
[11] https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2021/01/26/21G00007/SG
[12] https://www.istat.it/wp-content/uploads/2024/07/REPORT-Molestie.pdf
[13] https://www.istat.it/wp-content/uploads/2024/07/REPORT-Molestie.pdf
[14] http://www.wegoproject.eu/
[15] https://www.wegoproject.eu/sites/default/files/media/TOOLKIT-versione-italiana-def.pdf
[16] https://www.wegoproject.eu/sites/default/files/media/TOOLKIT-versione-italiana-def.pdf
[17] https://www.wegoproject.eu/sites/default/files/media/TOOLKIT-versione-italiana-def.pdf
[18] https://www.wegoproject.eu/sites/default/files/media/TOOLKIT-versione-italiana-def.pdf
[19] https://www.wegoproject.eu/sites/default/files/media/TOOLKIT-versione-italiana-def.pdf
[20] https://iris.who.int/bitstream/handle/10665/85239/9789241564625_eng.pdf?sequence=1
[21] https://www.wegoproject.eu/sites/default/files/media/TOOLKIT-versione-italiana-def.pdf
[22] https://www.wegoproject.eu/sites/default/files/media/TOOLKIT-versione-italiana-def.pdf
[23] https://www.wegoproject.eu/sites/default/files/media/TOOLKIT-versione-italiana-def.pdf
[24] https://www.wegoproject.eu/sites/default/files/media/TOOLKIT-versione-italiana-def.pdf
[25] https://www.istat.it/it/files/2022/10/Livelli-di-istruzione-e-ritorni-occupazionali-anno-2021.pdf
[26] https://www3.weforum.org/docs/WEF_GGGR_2023.pdf
[27] https://www.prometeocoaching.it/sviluppo-del-potenziale/potenzialita-capacita-di-apprezzare-bellezza-eccellenza/
[28] https://www.riskcompliance.it/news/women-empowerment-lo-stato-dell-arte-in-italia/
[29] Nazioni Unite, “Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile”, par. 8 (A/RES/70/1)
[30] Nazioni Unite, “Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile”, par. 20 (A/RES/70/1)
[31] Nazioni Unite, Raccomandazione generale n. 35 sulla violenza di genere contro le donne, aggiornamento della raccomandazione generale
[32] https://www.istat.it/wp-content/uploads/2024/02/Statistical_framework_femicide_2022.pdf
[33] https://www.symbola.net/approfondimento/cultura-benessere-isc20/
[34] https://iris.who.int/bitstream/handle/10665/85239/9789241564625_eng.pdf?sequence=1
Il Talento per l'inclusione e la valorizzazione delle differenze
“Cosa c'è in un nome? Ciò che chiamiamo rosa anche con un altro nome conserva sempre il suo profumo” (Giulietta: atto II, scena II).
Non metto certo in dubbio il valore degli insegnamenti dei classici, ma William Shakespeare non poteva prevedere una delle più importanti regole del marketing che smentisce questa sua intramontabile citazione: nome e logo, infatti, sono due componenti essenziali.
Ed è stata con questa consapevolezza che scelsi il nome e il logo: PoT.
Un semplice nome che ora per me rappresenta un vero e proprio mantra.
P.o.T. è l’acronimo di People of Talent
La parola talento deriva dal greco “Talentum”, ovvero l’unità di misura di massa e peso corrispondente a 60 mine e a 6000 dramme. Il suo significato più noto della parola talento nel corso degli anni la fa corrispondere alla moneta di conto utilizzata nella antica Grecia ed in Palestina.
Nella “Parabola dei talenti”, tratta dal Vangelo Secondo Matteo, i talenti venivano raffigurati come i doni che Gesù distribuisce ai servi del Signore, gli esseri umani. Ai giorni nostri, invece, il talento viene definito come “complesso di doti intellettuali, capacità, bravura e ingegno”.
Una spiegazione più ampia che può meglio descrivere, a mio avviso, cosa significhi la parola talento, è quella che la indentifica come quel processo creativo grazie al quale possiamo mettere in pratica la nostra vocazione ed il nostro potenziale.
La “Teoria della Ghianda”, tratta dal libro “Il codice dell’anima” di James Hillman e pubblicato nel 1996 da Adelphi, può aiutarmi a chiarire cosa intendo quando utilizzo i concetti quali vocazione e potenziale in relazione al talento. Lo psicologo junghiano, infatti, sostenne che: “Ogni individuo fin da bambino è come una piccola ghianda, racchiude in sé tutte le potenzialità sufficienti per poter crescere e diventare un maestoso albero di quercia”. Il nostro potenziale, quindi, rappresenta l’insieme delle qualità del carattere che contraddistinguono ognuno di noi, ma che ancora non si traduce in potere, come se rimanesse sullo sfondo, sopito. Tutti noi nasciamo con una dotazione che ci caratterizza e che potenzialmente è sviluppabile per compiere azioni e per esprimerci in maniera ottimale.
Tale dotazione varia da individuo a individuo per influenza di fattori genetici ed evolutivi. Secondo questa teoria, quando la vocazione si palesa, quando le condizioni contestuali e quando la volontà soggettiva sono idonee, è essa stessa che chiama a raccolta le potenzialità caratterizzanti l’individuo affinché vengano allenate e sviluppate attraverso l’azione, dando origine a quelle competenze o abilità che daranno piena espressione al talento.
Il talento, in questo senso, rappresenta il bene prezioso che può portare un individuo alla piena realizzazione di se stesso attraverso l’attribuzione consapevole di senso e significato alle azioni che compie. Tali azioni, guidate da una forte motivazione intrinseca e consapevole, frutto di un intenso sforzo ed impegno costante, con l’influenza dell’ambiente sociale, relazionale e fisico in cui si vive (che può essere talvolta favorevole talvolta limitante), danno origine a prestazioni, prodotti o effetti che sono l’espressione massima e concreta del potenziale di cui ognuno è portatore.
Sono dunque la creatività, la consapevolezza e la capacità gli ingredienti che compongono ciascun talento. Immagino il talento come un’energia ciascuno ha dentro di sé, che non si esaurisce con il passare degli anni, che non ha un’età anagrafica e che non va mai soffocata, che ci può condurre all’auto-realizzazione. Come una forza, una risorsa più o meno nascosta, che ogni giorno ci dice che abbiamo sempre una possibilità. Ecco perché il talento può essere considerato come il nostro tesoro più prezioso.
Ed ecco perché dovrebbe essere facile comprendere come, nel momento in cui mi sono trovata a dover decidere quale dovesse essere il nome ed il logo che avrei attribuito alla mia società che si sarebbe occupata di supporto all’imprenditorialità creativa Made in Italy, mi fu subito chiaro che la scelta migliore fosse P.o.T. ovvero People of Talent!
A questo punto occorre, però, che faccia un’importante precisazione. Se è vero che tutti noi abbiamo un talento, qualcosa di speciale, un potenziale che esiste in ciascuno di noi, virtù da realizzare, allo stesso tempo esiste una netta e sostanziale differenza: alcuni lo coltivano, mentre altri lo sottovalutano, trascurandolo.
Non è casuale che in inglese la parola PoT tradotta in italiano significhi vaso
Sono fermamente convinta, infatti, che il talento sia come un seme pronto a germogliare. Un seme che riguarda il saper essere, ovvero la forza del carattere, che aspetta di poter essere tradotto in nuovi comportamenti, nuove risorse. Più questo seme verrà annaffiato, giorno dopo giorno, più
potrà crescere e diventare forte. Idea che ritroviamo nelle parole nel Vangelo di Matteo che recita: “Il talento è un dono ricevuto da
rendere produttivo”. E nell’aforisma popolare di Thomas A. Edison, che sostiene: “Il genio è 1% ispirazione, 99% sudore”. Da entrambe le lezioni ne possiamo, dunque, trarre l’insegnamento per cui sta solo a noi la scelta di liberare l’opera d’arte che custodiamo dentro.
Il talento, perciò, interpretato come dote particolare, concretamente visibile nel risultato eccellente di prestazioni di tipo operativo-produttivo oppure relazionale, non può esistere senza che vi sia un allenamento, un impegno, uno sforzo sistematico e volontario, atto a sviluppare le potenzialità trasformandole in competenze sempre più performanti e di livello. Sono convinta, inoltre, che la questione più importante, laddove il talento viene concepito come risultato di un processo di espressione creativa della vocazione e delle potenzialità di ciascuno, sia comprendere come, solo grazie all’utilizzo di una intelligenza emotiva e di un approccio anch’esso creativo, sia possibile mettere a fuoco ed illuminare il talento di ciascuno. I migliori risultati in questo senso, infatti, possono arrivare solo se liberi, indipendenti dai condizionamenti e preparati per agire verso l’obiettivo definito.
Se per alcune persone questo approccio risulta più facile, per altri non è così naturale. Sono molteplici i fattori che possono ostacolare questo processo, a partire dall’ambiente che ci circonda, fisico o relazionale, dalla volontà di attivarci ed impegnarci, dal timore del giudizio di chi ci sta attorno. E questo vale sia nella vita quotidiana che in ambito professionale.
Uno dei nemici più pericolosi per il talento credo sia la mancanza di autostima. Una bassa autostima, infatti, blocca sul nascere qualsiasi possibilità di riuscita, poiché non porta a mettersi in gioco per paura di non farcela. Per essere persone di talento l’ingrediente principale è credere in noi stessi e nelle nostre capacità. Solo quando crediamo in noi la nostra vocazione ed il nostro potenziale sono nelle condizioni di poter emergere.
Sei tu la migliore versione di te stess*
Il talento è la potenza in atto, la realizzazione della nostra intelligenza embrionaria. E’ quel qualcosa di veramente unico che ognuno di noi sa fare e può fare. Ne consegue che non esiste un solo tipo di talento. E che ciascun talento diverso è ciò che ci distingue dagli altri. Ognuno ha una propria vocazione, che associato ad un processo creativo può portare alla piena espressione di sé stessi. Il talento, oltre ad essere unico, è anche non trasferibile. Ne deriva che è insensato paragonare i nostri talenti a quelli degli altri, poiché ciascuno custodisce un’essenza speciale che non può essere replicata. E credo che oggi, sempre di più anche in Italia, i parametri utilizzati nella ricerca del talento siano sempre più elementi quale: non convenzionale; non ordinario, unicità,
genuinità, passione, etc.
Desidero diffondere e promuovere l’idea per cui diversità è bellezza. E che, come diceva il mito Coco Chanel, “Per essere unici bisogna essere diversi”.
Credo di non essere sola a pormi questo obiettivo che potrebbe risultare utopico. Grazie a studi sociali ed economici da me condotti a livello nazionale e ancora di più internazionale ho potuto constatare, infatti, come sia in corso una vera e propria rivoluzione, una nuova tendenza sembra intenzionata a premiare la creatività, a prescindere dagli ambiti in cui essa di esprime (la moda, il beauty, il design, lo spettacolo, il cibo, etc.). Perfino quelli che fino ad ora sono stati visti dal mondo dell’industria culturale e della moda, come difetti e limiti, al contrario possono rappresentare dei veri e propri punti di forza e dei plus, in chiave di bellezza e personalità. La diversità è cool.
Declinata in tutte le sue forme. Diversità rispetto ai canoni estetici che ci inchiodano a modelli stereotipati e irraggiungibili, facendoci sentire sempre inadeguati. Diversità come pluralità di facce, di colori, lingue, credo, culture. Diversità come emotività e intuizione, creatività e fantasia, cioè la complessità del fattore umano contro l’algoritmo delle macchine. Diversità come capacità di uscire dai binari e andare dove ci pare, anche se i cartelli indicano un’unica direzione, seguendo solo la voce del cuore. Un tema chiave questo, che non considera i difetti come caratteristiche da nascondere ma, al contrario, come punti di forza da mettere in primo piano.
Come Fondatrice desidero che la PoT faccia parte dei pionieri che in Italia credono e lottano per l’affermazione di questi valoro a livello sociale, culturale, occupazione ed economico.
E’ questa constatazione mi ha portato alla scelta dello slogan da me ideato con lo scopo di comunicare e rendere espliciti quanto più possibile i valori alla base della PoT: l’inclusione sociale e la valorizzazione delle differenze.
“As you want to be”
Il paradigma fondato sull’inclusione rappresenta, infatti, l’evoluzione delle politiche per le pari
opportunità e della responsabilità sociale d’impresa.
Con il concetto di Social Innovation si intende:
1- un cambiamento nel modo di fare le cose, un’interruzione rispetto alle soluzioni generalmente utilizzate, innovativa perché più efficiente ed efficace;
2- un processo di innovazione e creatività capace di creare nuovi saperi, prodotti, strumenti, servizi e forme organizzative
3- un percorso di creazione di nuove collaborazioni e relazioni. La Social Innovation prevede l’utilizzo di forme di innovazione e creatività tipiche di una collettività e non di un singolo individuo. I suoi risultati sono, quindi, il frutto processi di condivisione, co-adaptation e dialogo;
4- una risposta costruttiva a problemi di ordine economico e sociale, capace di trasformare i principi teorici nella ricerca pratica della prosperità delle comunità, secondo una visione di sviluppo sostenibile e responsabile, con la finalità etica di creare e raggiungere le condizioni per un
benessere minimo universale ed una cittadinanza inclusiva.
In base a questa lista, che spero possa essere il più possibile esaustiva e chiara, per spiegare in breve un concetto così complesso, mi sento legittimata ad affermare, che la Social Innovation sia un elemento che contribuisce al miglioramento degli individui e delle comunità.
Come sostiene Andrea Notarnicola, all’interno del suo libro “Global Inclusion. Le aziende che cambiano: strategie per innovare e competere”, anche sul fronte della razionalità economica e sulle decisioni in ambito di business, la valorizzazione delle differenze riveste un ruolo centrale, poiché, il paradigma fondato sull’inclusione rappresenta l’evoluzione delle politiche per le pari opportunità e della responsabilità sociale d’impresa. Orientarsi in base ai principi che si ispirano alla Social Innovation rappresenta, quindi, un modo concreto per dare risposta alle difficoltà in termini economici ed occupazionali, tentando di risolvere i problemi organizzativi ed aziendali.
E’ secondo questa logica che la traiettoria delle azioni quotidiane intraprese dalla PoT Agency sono dirette in base alle indicazioni della bussola della Social Innovation.
Per questo, la PoT Agency adotta un approccio innovativo ed inclusivo per lo sviluppo ed il miglioramento dell’imprenditorialità nel settore dell’industria creativa Made in Italy.
Diversity e Inclusion
Uno degli elementi di innovazione sociale è rappresentato in PoT Agency dalla promozione di una cultura della valorizzazione delle differenze, adottando una prospettiva inclusiva verso la diversità.
Lavorando all’interno del settore creativo, ho compreso che, per contribuire e per diffondere le teorie e le pratiche della valorizzazione della differenza e una cultura dell’inclusione, il contributo della PoT doveva avvenire partendo dalla revisione del concetto di bellezza che ha dominato la scena e il panorama dell’impresa creativa italiana e, in generale, la cultura dominante main-stream.
I canoni estetici che fino ad ora sono arrivati al pubblico attraverso i mass media, sono stati imposti quasi come regole. Ci hanno abituati ad avere una visione del mondo influenzata da ciò che agli occhi appare perfetto. Un’ossessione per la perfezione fisica che ha intrappolato, e diviso, in particolare le donne moderne in un ciclo senza fine di disperazione, autocommiserazione e disagio.
Una condanna per sforzarci ad essere ciò che non siamo. Il modello che la maggior parte delle donne oggi insegue, infatti, è quello di un corpo che non esiste, continuamente ritoccato e maneggiato a livello tecnologico.
Gli studi di mercato dimostrano come le consumatrici di oggi risultano, però, sempre più stufe di sentirsi dire dalle pubblicità e dalle aziende come devono apparire, iniziando a coltivare la sensazione che siano gli stessi brand a tentare di abbattere la loro autostima piuttosto che vendere il
prodotto.
A differenza degli anni ottanta, in cui veniva celebrata la ricchezza, il lusso e l’inacessibilità della bellezza, oggi le persone sono attratte da ciò che arriva, perché e simile a ciò che loro sono, che li rappresenta. Allo stesso tempo desiderano ascoltare storie positive, rassicuranti, capaci di spronare il nostro essere ad andare avanti. La tendenza attuale è quella premiare una creatività, che sia questa declinata attraverso la moda, il beauty, il design o lo spettacolo, che sia per tutti. “In un mondo di cambiamenti continui, complesso per interconnessioni e interdipendenze, la varietà delle storie personali fa la differenza”. Secondo le parole di Maura Cantatore, della storica model agency Why Not, specializzata da ormai quasi mezzo secolo in modelle cosiddette “editoriali”, ovvero fuori
canone, quella a cui stiamo assistendo è una vera e propria “evoluzione della moda.
Dal dominio della bellezza classica si è passati all’era della personalità. Alle protagoniste delle campagne di moda oggi si chiede di avere una storia da raccontare, un percorso da esibire: da dove arrivano e cosa hanno fatto per diventare quello che sono. Al brand interessa veicolare anche un contenuto: non solo il capo, ma anche chi lo indossa e perché. Un volto senza storia, solo bello, non basta più”.
Quello che ho osservato dai miei studi condotti a livello nazionale e ancora di più internazionale, è che è in corso una vera e propria rivoluzione culturale, e la PoT Agency desidera farne parte.
E’ secondo questa visione che la PoT Agency si pone lo scopo di promuove l’armonia, l’importanza della cura del sé, del sentirsi bene, in primis con se stessi.
Il lavoro che svolgo, quindi, è una vera e propria attività di promzione dell’inclusione e valorizzazione delle differenze, che mira ad accrescere l’autostima e la fiducia in se stessi, attraverso la creazione di reti e legami e la costruzione di una community che persegua questi principi, nel tentativo di riuscire a immaginare la diversità o peculiarità come punti di forza, secondo l’idea che, come ha scritto il famoso scrittore Murakami: “Un certo tipo di perfezione si
può raggiungere solo accumulando infinite imperfezioni.
Perché chi dice PoT dice Top!
Stefania Visconti
Stefania Visconti è attrice, modella e artista trasformista queer. Originaria della provincia di Rieti, per la precisione di un paese che si chiama Cittaducale, dove trascorre un’infanzia serena e felice circondata dall’affetto della sua famiglia. Laureata in Lettere, indirizzo Arti e discipline dello spettacolo, all’università La Sapienza di Roma. Consegue un master di specializzazione in Risorse Umane che la portano a ricoprire il ruolo di responsabile delle risorse artistiche in un’associazione culturale. Intraprende la strada dello spettacolo studiando e diplomandosi a Cinecittà Campus per la direzione artistica di Maurizio Costanzo, consegue un diploma teatrale dopo aver frequentato il corso annuale Itinera a cura della regista e attrice Sabina Calvesi, si diploma all’Accademia della Comicità diretta da Gegia, segue un corso per drag queen tenuto dall’artista Senith Genderotica e un corso di heels dance tenuto dal maestro Germoglio di Single.
Tra i lavori più rappresentativi c’è sicuramente la partecipazione al cortometraggio “Il Barbiere Complottista” regia di Valerio Ferrara, selezionato in numerose rassegne cinematografiche in tutto il mondo tra cui vincitore alla 75° edizione al Festival di Cannes nella sezione La Cinef, vincitore al Festival de Cine Italiano de Madrid e al Pulcinella Film Fest, selezionato alla Festa del Cinema di Roma, al Denver Film Festival negli USA, al Med Film Festival e molti altri.
La vediamo ricoprire il ruolo da protagonista di “Pierre” nel videoclip musicale omonimo dei Pooh per la regia di Cosimo Alemà. Partecipa a molti altri video tra cui “Piccoli dettagli” di Giusy Ferreri per la regia di Roberto Saku Cinardi, “Chiave” di Ultimo per la regia di Emanuele Pisano, “Scusate per il sangue” di Low Low e Mostro per la regia di Emanuele Pisano e Maurizio Ravallese e “Revenge” del cantautore Nickis Fabbrocile. La sua storia è presente nel libro “Le cose cambiano” a cura di Dan Savage e Terry Miller edizione italiana a cura di Linda Fava, uscito con il Corriere della Sera e in tutte le librerie (tra le testimonianze del libro troviamo Barack Obama, Hillary Clinton, David Cameron, Anna Paola Concia, Aldo Busi ecc.). A teatro interpreta vari ruoli in spettacoli a volte provocatori come “Perversioni sessuali a Roma” per la regia di Roberto D’Alessandro e “La differenza” di Roberto Braida per la regia di Renato Capitani. È Carlà nella serie “TRANS” di Marco Costa che affronta in maniera ironica il caso Marrazzo, è Stefy makeup nella web-serie di successo a tematica gay “TRIS” per la regia di Doni Corrado. Attrice di numerosi film indipendenti e cortometraggi come “Undercover Mistress” regia di Giulio Ciancamerla (selezionato ufficialmente in sessanta festival internazionali di cortometraggi e vincitore di dieci premi tra cui miglior attrice protagonista a Stefania Visconti). Partecipa anche al film “Magnifica presenza” di Ferzan Ozpetek. La vediamo nello spot Winner Taco Algida e ospite in programmi televisivi tra cui “A gentile richiesta” su Canale 5 condotto da Barbara D’Urso dove racconta la sua storia facendo coming out in diretta. Dal 2022 collabora con Cusano Italia TV ricoprendo vari ruoli in alcuni programmi. Modella per fotografi nazionali e internazionali in Italia, Europa e negli Stati Uniti come Matteo Basilè, Cesare Colognesi, Erica Fava, Eolo Perfido, Coniglio Bianco, Dido Fontana, Bradford Rogne, Austin Young, David Serrano, Davey Tyler e tanti altri. Alcune immagini provocatorie che la ritraggono hanno suscitato reazioni con discussioni accese. Esempio eclatante “Jesus Gay” dell’artista Pino Lauria esposta al Museo Civico di Potenza provocando la creazione di un gruppo di preghiera davanti l’ingresso del Museo. Un’altra foto è spunto di riflessione e confronto con il capo dell’Opus Dei in diretta televisiva su Canale Italia. Negli ultimi anni organizzatrice di eventi artistici e curatrice di articoli culinari sulla rivista mensile “Così in Cucina”.Direttrice artistica di un evento d’arte dal nome “Stefan-io” arrivato alla quinta edizione con l’esposizione di opere e atti performativi in gallerie a Roma come ad esempio “Up Urban Prospective Factory”. Protagonista di performances all’università La Sapienza di Roma nella facoltà di Lettere e al Macro – Museo d’Arte Contemporanea di Roma.
La community di POT si allarga ai soci e alle socie di RETE DOC
Ciao a tutti amici e amiche di PoT Agency!!!
Oggi farò un annuncio molto importante per me, ma soprattutto per tutte e tutti voi che mi seguite con tanto affetto, e spiegarvi perché, da un po’ di tempo, vedete i miei video, post e storie collegate alle persone ed alle attività di Rete Doc.
Partiamo allora dall’inizio…
Rete Doc è una comunità di oltre 8.000 professionisti della cultura, dello spettacolo, della creatività e dell’innovazione tecnologica organizzati in rete e, attraverso la quale costituisce un modello di impresa cooperativa che moltiplica le opportunità e la competitività e favorisce l’incontro fra persone.
Da oltre trent’anni svolge servizi e gestisce eventi di qualità nei settori artistico, culturale, creativo, del turismo, della comunicazione, della formazione e della tecnologia.
Perché sono diventata, non solo dipendente, ma anche e soprattutto, socia lavoratrice della Rete Doc e perché da oggi sono orgogliosa di proporre i suoi servizi, progetti ed eventi anche a voi della community e che mi seguite come PoT Agency?
Perché credo che il modello di Rete Doc sia davvero vicino allo spirito di PoT Agency.
Perché entrambi puntano sull’innovazione digitale, sulle nuove tecnologie e modelli di comunicazione come strumenti fondamentali per gestire i professionisti, le attività e far crescere progetti che mettono sempre la persona al centro.
Perché il modello d’impresa cooperativo alla base di Rete Doc è stato creato per accrescere la competitività ed i vantaggi di tutte e di tutti, perché, facendo rete, si possono condividere i costi e redistribuire equamente le ricchezze generate.
Ma, soprattutto, perché sia PoT che Doc, condividono la visione degli obiettivi previsti dall’Agenda 2030 ed entrambi si prefiggono di impegnarsi, in particolare, per: l’inclusione, la parità di genere, la riduzione delle disuguaglianze, la responsabilità sociale ed ambientale, la formazione continua, il riconoscimento del valore del lavoro e lo sviluppo sostenibile.
Lavorare in ambito culturale, creativo, dello spettacolo, dell’innovazione, della ricerca e della formazione ed entrare a far parte di Rete Doc, significa ottenere dei veri vantaggi e godere delle opportunità che la cooperazione fra pari offre.
La Rete, infatti, è capace di unire la tutela e la sicurezza della persona all’autonomia e la libertà dell’essere freelance.
Nella pratica, significa poter lavorare in tutto il territorio nazionale ed internazionale, potendo usufruire di tutti i servizi creati per facilitare la vita ed il lavoro negli ambiti della cultura dello spettacolo, della creatività e dell’innovazione come ad esempio: personale contabile, fiscale ed amministrativo di altissimo livello e qualità dedicato, un’agenzia viaggi, un team di professionisti esperti in bandi e progetti e tanto altro ancora.
Ed anche per chi è solo all’inizio della propria attività, e sogna di dar vita ad un progetto imprenditoriale o a fondare una start up, da solo o in team, il supporto da parte della Rete è garantito, grazie a servizi e consulenze specializzati, che offrono un accompagnamento a 360°.
Da oggi, quindi, ai voi cari amici e amiche della PoT Agency, si uniscono anche gli amici e le amiche della Rete Doc. Ed, insieme, continueremo nel viaggio alla scoperta e alla valorizzazione del talento creativo e culturale Made in Italy.
Elisa BADIALI
Dare voce a chi non ce l’ha
Dare voce a chi non ce l’ha
La maggior parte di noi ogni giorno si sveglia, si alza dal letto e inizia la propria giornata comunicando i propri pensieri e bisogni, contando meccanicamente sulle capacità della mente e su quelle del corpo. I nostri cinque sensi e gli stimoli a loro connessi fanno parte di noi da sempre; così, facilmente dimentichiamo che purtroppo non è vero per tutti: molte persone, per esempio, soffrono di patologie che non permettono loro di usare la voce. In passato chi non parlava o non poteva farsi capire è rimasto isolato, rinchiuso nel proprio mondo perché incapace di farsi comprendere appieno.
Negli ultimi anni, molte menti tra cui quelle creative si sono messe al lavoro per trovare soluzioni che fossero d’aiuto a chi non ha voce, a chi l’ha persa o a chi non può sentirla.
In che modo la creatività ha fatto la differenza?
- Progettando nuovi alfabeti.
La LIS, Lingua italiana dei segni è emersa spontaneamente e si compone di segni di natura visivo – gestuale che coinvolgono la parte superiore del corpo, in particolare il testa, il viso e le spalle. Il riconoscimento ufficiale di questa lingua e la denominazione lingua dei segni italiana si devono alla comunità scientifica che, attraverso uno standard internazionale, la ha distinta rispetto alle altre forme di comunicazione simili come la gestualità che accompagna il parlato.
La LIS è codificata, possiede una sintassi, una morfologia, una fonologia e si insegna all’università. - Progettando strumenti parlanti.
È nata la comunicazione assistita che grazie ai comunicatori con uscita in voce, strumenti di supporto a chi non può emettere suoni e App dedicate permette di esprimersi a chi non può usare le parole. Esiste una Banca della Voce a cui è possibile donare parole attraverso una App specifica: https://www.telethon.it/storie-e-news/news/dalla-fondazione/unaparolapernemo-ecco-come-donare-la-tua-voce-a-chi-lha-persa/ e App speciali che consentono di parlare e comunicare i propri pensieri grazie alla tecnologia: https://www.aisla.it/my-voice-la-voce-diventa-dono-di-speranza-per-le-persone-con-sla/Questi strumenti prodotti da persone che hanno osato guardare oltre ciò che già esisteva e pensare fuori dagli schemi aiutano il mondo a girare meglio.
Elisa Gattamorta è una copywriter freelance che lavora su storie e progetti continuando a credere che la creatività faccia la differenza.
https://www.linkedin.com/in/elisa-gattamorta/

Selva Silvia Barbieri
Sono Selva Silvia Barbieri, Fashion Designer di Mercogliano (Avellino). Ho studiato Design della Moda all’Accademia della Moda IUAD (Napoli) e a Marzo 2022 ho presentato una tesi sperimentale intitolata “Modellistica sperimentale adattiva per un corpo maschile non deambulante”.
L’assenza di abbigliamento adattivo, nel mercato italiano, è stata la ragione principale che ha motivato questa mia scelta.
Ho analizzato i problemi, appreso i bisogni e sperimentato le possibili soluzioni (riguardanti soprattutto un mio caro amico, affetto da distrofia Muscolare di Duchenne. Gerardo Santoro, mi ha ispirato e insegnato tanto).
Il mio lavoro si basa sull’osservazione antropometrica e la documentazione di interviste e prove prototipo, ponendomi l’obbiettivo di elaborare una nuova modellistica adattiva per avviare una produzione di abbigliamento che, oltre a facilitare la vestizione e la svestizione, riesca ad avere un’identità inerente con le mode e i trend del momento.
La moda è uno strumento potente, capace di migliorare la vita delle persone che hanno problemi motori. Non deve essere solo una questione di forme, linee e tagli!
Il mio lavoro non è volto a sensibilizzare gli animi ma ad eliminare barriere che spesso, invece di risolvere un problema, lo evidenziano.
-A Luglio 2022 ho partecipato agli Italian Fashion Talent Awards, portando a casa il premio “Livia Gregoretti Showroom” che mi ha permesso di esporre, durante la Milano Fashion Week di Settembre 2022, la mia prima collezione adattiva.
Ho avuto l’onore di collaborare con campioni paralimpici:
Con Vincenzo Boni (campione di nuoto) ho avuto l’onore di realizzare uno shooting subacqueo. Questo shooting rappresenta in pieno il messaggio della mia tesi. Molti mi consigliarono di realizzare una campagna di sensibilizzazione (pochi scatti con il ragazzo sulla sedia e frase di sensibilizzazione) perché l’editoriale di moda sarebbe stato difficile da realizzare . Questa cosa l’ho vista come una sfida. Poter eliminare ogni debolezza. Così ho pensato subito all’acqua. L’acqua ha un potere magico e, in questo caso, permette la libertà di movimento per quasi tutti i corpi. Già dai primi scatti sul posto ci siamo resi conto del raggiungimento dell’obiettivo. Il messaggio non è “anche noi possiamo” ma è “noi possiamo e basta”. Senza sottolineare differenze o debolezze.
-F.Designer/Stylist: Selva Silvia Barbieri
-Modello: Vincenzo Boni (campione di nuoto Paralimpico)
-Fotografo: Vittorio Alvino Corot
-Assistente Fotografo: Antonio Giaccio
-Location:Caravaggio Sporting Village
Ho avuto l’onore di realizzare un abito/tributo su misura ad Angela Procida (campionessa di nuoto) che ha indossato per ricevere il Premio Phenomena all’Aurum di Pescara.
Agli Italian Fashion Talent Awards 2022 ho avuto l’onore di far indossare e sfilare alcuni miei outfit da Emanuele Marigliano (campione di nuoto), Paolo Mangiacapra (Nazionale Italiana di sitting volley) e Vincenzo Pirone (campione di nuoto regionale).
A Novembre 2022 ho ricevuto un riconoscimento per il lavoro svolto da parte del presidente del Comitato Italiano Paralimpico Campania, Carmine Mellone, durante la Cerimonia di Consegna delle Onorificenze paralimpiche.
Dopo la mia tesi ho scelto di dedicarmi seriamente a questo progetto. È difficile ma ci credo pienamente. Il mio obiettivo è quello di poter presentare capi di abbigliamento PER TUTTI, senza creare categorie e differenze. Accessibile anche a livello di prezzi perché ho a che fare soprattutto con i giovani. Oltre a lavorare sulla modellistica, continuo ad intervistare ragazzi e ragazze da tutto il mondo per migliorare le ricerche per lo sviluppo dell’abbigliamento adattivo by Selva. Ho avuto modo di intervistare Tarik Rever (Texas, USA) influencer, social media marketer, model, attivista e cantante. Continuerò le mi ricerche anche per cercare di conoscere quanti più ragazzi e ragazze interessati ad entrare nella Community N.O.I Now Over Impediment.
Selva Silvia Barbieri
La bellezza e il talento: da strumento di controllo sociale a leva per l’empowerment femminile
Il concetto di bellezza, secondo l’enciclopedia Treccani è definito come quella “qualità di ciò che appare o è ritenuto bello ai sensi e all’anima”[1]. Posso affermare, quindi, che la bellezza rappresenta un concetto astratto, legato all’insieme delle qualità, percepite tramite i cinque sensi, che suscitano sensazioni piacevoli e che attribuiamo a elementi dell’universo esistente ed osservato quali oggetti e suoni e come persone e concetti. Tale concetto si evidenzia durante l’esperienza, si sviluppa spontaneamente e tende a collegarsi a un contenuto emozionale positivo, in seguito a un rapido paragone effettuato[2].
Queste definizioni ci fanno comprendere come “la bellezza non è mai stata qualcosa di assoluto e immutabile, ma ha assunto volti diversi in relazione al periodo storico ed al Paese” (Eco, 2004).
La bellezza, inoltre, non è neppure una funzione dell’evoluzione: la competizione delle donne con altre donne attraverso la bellezza è l’inverso di come la selezione naturale agisce su tutti gli altri mammiferi. L’antropologia ha dimostrato, infatti, l’infondatezza del concetto per cui le donne dovrebbero essere belle per essere scelte per l’accoppiamento. Insomma, non esistono giustificazioni legittime, storiche o biologiche per il mito della bellezza (Wolf, 1991).
Eppure “c’è stato il bisogno di capire se esistesse una bellezza oggettiva e se fosse possibile tradurla in parole e criteri precisi. [E’ così che] nel corso del tempo la riflessione sulla bellezza è diventata un discorso sul corpo femminile e sulle misure che doveva avere per raggiungere l’ideale e per tenersi ben distante da quelle caratteristiche che l’avrebbero reso brutto o, peggio, mostruoso” (Gangitano, 2022). Possiamo affermare che le qualità che un certo periodo definisce come tratti di bellezza nelle donne sono solamente dei simboli del comportamento femminile che quel periodo considera desiderabili: in realtà il mito della bellezza prescrive sempre dei comportamenti più che un aspetto esteriore. Fu poi, a partire dall’epoca moderna, che il culto della bellezza è finito per rappresentare una forma di prigione: da quando le donne si sono liberate della mistica femminile della vita domestica, infatti, il mito della bellezza si è sostituito ad essa, espandendosi per portare avanti la sua opera di controllo sociale (Wolf, 1991).
Storicamente, prima della rivoluzione industriale, la donna media non poteva considerare la bellezza alla stregua di quelle moderne. La famiglia era un’unità produttiva e il lavoro delle donne integrava quello degli uomini: per questo il loro valore risiedeva nel loro talento lavorativo, nella scaltrezza, nella forza e nella fertilità. Sul mercato del matrimonio la bellezza non era, perciò, una questione importante. Al contrario, a quei tempi, esisteva una classe ben definita di rappresentanti del sesso femminile che venivano pagate per la loro bellezza, composta da indossatrici, attrici, ballerine, ed accompagnatrici, ovvero da donne di bassa condizione sociale e soprattutto non degne di rispetto (Wolf, 1991).
Il mito della bellezza nella sua forma moderna è un’invenzione che risale al periodo dell’industrializzazione, tra il Settecento e l’inizio del Novecento, quando, con l’avvento del sistema fabbrica, è stata distrutta l’unità lavorativa della famiglia. In quegli anni, è sorta una nuova classe di donne, oziose ed istruite, dalla cui sottomissione alla vita domestica imposta dipendeva l’intero funzionamento ed evoluzione del capitalismo consumista. Il canone della bellezza, perciò, rappresentava una delle tante finzioni sociali emergenti[3] con la funzione principale di favorire questa nuova forma di controllo sociale.
La pressione sociale è aumentata, poi, con la scoperta delle nuove tecnologie, quando attraverso figurini, dagherrotipi, ferrotipi e rotocalcografie, iniziarono ad apparire per la prima volta immagini che riproducevano l’aspetto che dovevano assumere le donne.
Negli anni che seguirono il dopoguerra, quando la seconda ondata del movimento femminile ha portato le donne della borghesia a varcare la soglia di casa spezzando l’idea del focolare domestico, le finzioni che dovevano definire il loro ruolo naturale, si sono trasformate: liberate da tutte le limitazioni, dai tabù e dalle punizioni di leggi repressive, tipiche di imposizioni religiose e di schiavitù riproduttiva che non avevano più forza sufficiente, alle donne venivano ora imposti ora i corpi e i volti come simboli ideali da inseguire. Fu proprio in questo perioche che, quindi, un inesauribile lavoro sulla bellezza è subentrato a quello di casa. Mentre l’economia, la legge, la religione, le abitudini sessuali, l’istruzione e la cultura si aprivano forzatamente per includere più equamente le donne, una realtà privata colonizzava la coscienza femminile. Usando le idee sulla bellezza veniva ricostruito un mondo femminile alternativo con le sue leggi, il suo lavoro, la sua religione, la sua cultura, la sua sessualità, la sua istruzione, in maniera repressiva quanto il periodo precedente.
Con il passare del tempo, più le donne diventavano forti, tanto più prestigio, fama e denaro vennero concessi alle professioni d’immagine: queste ultime vengono sbandierate con sempre maggiore enfasi davanti agli occhi delle donne, per convincerle a competere. La bellezza è divenuta, in quest’ottica, una legittima e necessaria qualificazione per l’ascesa del potere di una donna. A partire dagli anni Ottanta appare evidente come, man mano che le donne diventavano più importanti, anche la bellezza diventa determinante. Quanto più si avvicinano al potere, tanto più si chiede loro un’autocoscienza fisica. Ed è così che una delle azioni più lungimiranti svolte a livello di controllo sulle donne è stato quello di stereotiparle per adattarle al mito appiattendo la femminilità al livello di bellezza-senza-intelligenza o, al contrario, intelligenza-senza-bellezza: alle donne è concesso avere una mente o un corpo, ma non entrambi (Wolf, 1991).
Analizzando questo excursus sul significato che la bellezza ha avuto sulla vita delle donne, voglio far comprende come, a partire dall’epoca moderna, l’autostima femminile sia stata determinata in gran parte da una competizione tra loro basata su caratteristiche fisiche rapportate ad un modello fisico ideale. Se davvero vogliono liberarsi e raggiungere un livello di parità sostanziale reale, le donne non hanno bisogno, quindi, solo di voti o di gruppi di pressione, ma anche e soprattutto di un nuovo modo di vedere. Questo passaggio potrebbe avverarsi grazie ad un nuovo modo di concepire la bellezza: da insieme di qualità fisiche o caratteriali, a un’espressione del talento personale e, in particolare, creativo.
La parola talento deriva dal greco “Talentum”, ovvero l’unità di misura di massa e peso corrispondente a 60 mine e a 6000 dramme. Il suo significato più noto della parola talento nel corso degli anni la fa corrispondere alla moneta di conto utilizzata nella antica Grecia ed in Palestina. Nella “Parabola dei talenti”, tratta dal Vangelo Secondo Matteo, i talenti venivano raffigurati come i doni che Gesù distribuisce ai servi del Signore, gli esseri umani. Ai giorni nostri, invece, il talento viene definito come “l’eccellenza di chi si segnala per le sue abilità in un determinato ambito”[4].
Una spiegazione più ampia che può meglio descrivere, cosa significhi la parola talento, è quella che la indentifica come quel processo creativo grazie al quale possiamo mettere in pratica la nostra vocazione ed il nostro potenziale. La “Teoria della Ghianda”, tratta dal libro “Il codice dell’anima” di James Hillman, può aiutare a chiarire cosa si intende quando si utilizzano i concetti quali vocazione e potenziale in relazione al talento. Lo psicologo junghiano, infatti, sostenne che: “Ogni individuo fin da bambino è come una piccola ghianda, racchiude in sé tutte le potenzialità sufficienti per poter crescere e diventare un maestoso albero di quercia”. Il potenziale umano, quindi, rappresenta l’insieme delle qualità del carattere che contraddistinguono ciascuno, ma che ancora non si traduce in potere, come se rimanesse sullo sfondo, sopito. Tutti noi nasciamo con una dotazione che ci caratterizza e che potenzialmente è sviluppabile per compiere azioni e per esprimerci in maniera ottimale. Tale dotazione varia da individuo a individuo per influenza di fattori genetici ed evolutivi. Secondo questa teoria, quando la vocazione si palesa, quando le condizioni contestuali e quando la volontà soggettiva sono idonee, è essa stessa che chiama a raccolta le potenzialità caratterizzanti l’individuo affinché vengano allenate e sviluppate attraverso l’azione, dando origine a quelle competenze o abilità che daranno piena espressione al talento.
Il talento, in questo senso, rappresenta il bene prezioso che può portare una donna alla piena realizzazione di se stessa attraverso l’attribuzione consapevole di senso e significato alle azioni che compie. Tali azioni, guidate da una forte motivazione intrinseca e consapevole, frutto di un intenso sforzo ed impegno costante, con l’influenza dell’ambiente sociale, relazionale e fisico in cui si vive (che può essere talvolta favorevole talvolta limitante), danno origine a prestazioni, prodotti o effetti che sono l’espressione massima e concreta del potenziale di cui ognuna è portatrice. Sono dunque la creatività, la consapevolezza e la capacità gli ingredienti che compongono ciascun talento. Talento che è come un’energia che ciascuna ha dentro di sé, che non si esaurisce con il passare degli anni, che non ha un’età anagrafica e che non va mai soffocata, che ci può condurre all’auto-realizzazione femminile. Come una forza, una risorsa più o meno nascosta, che ogni giorno ci dice che abbiamo sempre una possibilità. Ecco perché il talento può essere considerato come il tesoro più prezioso.
Ed ecco perché dovrebbe essere facile comprendere come, il passaggio da bellezza come forma di controllo sociale a leva per l’empowerment femminile, debba passare attraverso la valorizzazione del talento personale di ciascuna.
Questo spiega anche come mai, nel momento in cui mi sono trovata a dover decidere quale dovesse essere il nome ed il logo che avrei attribuito alla start up di innovazione sociale, mi fu subito chiaro che la scelta migliore fosse P.o.T. ovvero People of Talent!
Se è vero che tutti hanno un talento, qualcosa di speciale, un potenziale che esiste in ciascuno, virtù da realizzare, allo stesso tempo esiste una netta e sostanziale differenza: alcuni lo coltivano, mentre altri lo sottovalutano, trascurandolo. Non è casuale che in inglese la parola PoT tradotta in italiano significhi vaso. Il talento, infatti, è come un seme pronto a germogliare. Un seme che riguarda il saper essere, ovvero la forza del carattere, che aspetta di poter essere tradotto in nuovi comportamenti, nuove risorse. Più questo seme verrà annaffiato, giorno dopo giorno, più potrà crescere e diventare forte. Idea che ritroviamo nelle parole nel Vangelo di Matteo che recita: “Il talento è un dono ricevuto da rendere produttivo”. E nell’aforisma popolare di Thomas A. Edison, che sostiene: “Il genio è 1% ispirazione, 99% sudore”. Da entrambe le lezioni si può, dunque, trarre l’insegnamento per cui ciascuna è davanti alla scelta di liberare l’opera d’arte che custodisce dentro. Il talento, perciò, interpretato come dote particolare, concretamente visibile nel risultato eccellente di prestazioni di tipo operativo-produttivo oppure relazionale, non può esistere senza che vi sia un allenamento, un impegno, uno sforzo sistematico e volontario, atto a sviluppare le potenzialità trasformandole in competenze sempre più performanti e di livello.
La questione più importante, laddove il talento viene concepito come risultato di un processo di espressione creativa della vocazione e delle potenzialità di ciascuna, è comprendere come, solo grazie all’utilizzo di una intelligenza emotiva e di un approccio anch’esso creativo, sia possibile mettere a fuoco ed illuminare il talento di ciascuna. I migliori risultati in questo senso, infatti, possono arrivare solo se libere, indipendenti dai condizionamenti e preparate per agire verso l’obiettivo definito. Se per alcune questo approccio risulta più facile, per altre donne non è così naturale, poiché, come ho descritto sopra, gli ostacoli sono storicamente maggiori rispetto a quelli che incontrano gli uomini. Ciascuna di noi combatte, infatti, con molteplici i fattori che possono ostacolare questo processo, a partire dall’ambiente che ci circonda, fisico o relazionale, dalla volontà di attivarci ed impegnarci, dal timore del giudizio di chi ci sta attorno. E questo vale sia nella vita quotidiana che in ambito professionale.
Uno dei nemici più pericolosi per il talento è, quindi, la mancanza di autostima. Una bassa autostima, infatti, blocca sul nascere qualsiasi possibilità di riuscita, poiché non porta a mettersi in gioco per paura di non farcela. Per essere persone di talento l’ingrediente principale è credere in noi stesse e nelle nostre capacità. Solo quando crediamo in noi la nostra vocazione ed il nostro potenziale sono nelle condizioni di poter emergere.
Il talento è la potenza in atto, la realizzazione della nostra intelligenza embrionaria. E’ quel qualcosa di veramente unico che ognuno di noi sa fare e può fare. Ne consegue che non esiste un solo tipo di talento. E che ciascun talento diverso è ciò che ci distingue dagli altri. Ognuno ha una propria vocazione, che associato ad un processo creativo può portare alla piena espressione di sé stessi. Il talento, oltre ad essere unico, è anche non trasferibile. Ne deriva che è insensato paragonare i nostri talenti a quelli degli altri, poiché ciascuno custodisce un’essenza speciale che non può essere replicata. E credo che oggi, sempre di più anche in Italia, i parametri utilizzati nella ricerca del talento siano sempre più elementi quale: non convenzionale; non ordinario, unicità, genuinità, passione, etc. E’ questa constatazione mi ha portato alla scelta dello slogan, associato al nome dell’azienda, da me ideato con lo scopo di comunicare e rendere espliciti quanto più possibile i valori alla base della PoT. I temi ai quale ho deciso di dedicare perfino il payoff della mia creazione sono l’inclusione sociale e la valorizzazione delle differenze. Il paradigma fondato sull’inclusione rappresenta, infatti, l’evoluzione delle politiche per le pari opportunità e della responsabilità sociale d’impresa. Lo scopo è quello di perseguire il concetto secondo il quale ognuno debba rappresentare il modello migliore di se stesso e per questo lo stesso pay-off dell’agenzia recita: “As you want to be”. Desidero, infatti, diffondere e promuovere l’idea per cui diversità è bellezza. E che, come diceva il mito Coco Chanel, “Per essere unici bisogna essere diversi”.
Credo di non essere sola a pormi questo obiettivo che potrebbe risultare utopico. Grazie a studi sociali ed economici da me condotti a livello nazionale e ancora di più internazionale ho potuto constatare, infatti, come sia in corso una vera e propria rivoluzione, una nuova tendenza sembra intenzionata a premiare la creatività, a prescindere dagli ambiti in cui essa di esprime (la moda, il beauty, il design, l’arte, lo spettacolo, la musica, il cibo, etc.). Perfino quelli che fino ad ora sono stati visti dal mondo dell’industria culturale e della moda, come difetti e limiti, al contrario possono rappresentare dei veri e propri punti di forza e dei plus, in chiave di bellezza e personalità. La diversità è cool. Declinata in tutte le sue forme. Diversità rispetto ai canoni estetici che ci inchiodano a modelli stereotipati e irraggiungibili, facendoci sentire sempre inadeguati. Diversità come pluralità di facce, di colori, lingue, credo, culture. Diversità come emotività e intuizione, creatività e fantasia, cioè la complessità del fattore umano contro l’algoritmo delle macchine. Diversità come capacità di uscire dai binari e andare dove ci pare, anche se i cartelli indicano un’unica direzione, seguendo solo la voce del cuore. Un tema chiave questo credo in un modello di agenzia che non considera i difetti come caratteristiche da nascondere ma, al contrario, come punti di forza da mettere in primo piano. Bellezza e talento in questo senso prendono luce proprio grazie alle loro anomalie. In fondo che cosa ci rende più speciali di un ventaglio diversificato di difetti?! Come ha scritto il famoso scrittore Murakami, infatti: “Un certo tipo di perfezione si può raggiungere solo accumulando infinite imperfezioni.
E’ secondo questa visione che la PoT si pone lo scopo di promuove l’armonia, l’importanza della cura del sé, del sentirsi bene, in primis con se stessi. Come Fondatrice e Direttrice, desidero che la PoT faccia parte dei pionieri che in Italia credono e lottano per l’affermazione di questo valore a livello sociale, culturale, occupazione ed economico. Una parte del lavoro che svolge l’agenzia, quindi, in tema di supporto dei talenti, è un’attività che si basa sui concetti di empowerment e di self-confidence, mirata ad accrescere l’autostima e la fiducia in se stessi. Il talento si traduce quindi, diventando visibile, nelle cose che le donne scelgono di fare e, quindi, di essere. Sono tutte possibilità: strade possibili tra cui scegliere. E’ di solito una fioritura, quella del talento, che provoca gioia in chi la coltiva ed è sostenibile, genera energia ed effetti positivi. E allora, spesso, i talenti sono nascosti nelle cose che le donne fanno e che sono quando si sentono libere di scegliere. Il luogo in cui si esprime il talento si traduce nel cosiddetto “preferred self”: la dimensione di noi in cui ci sentiamo pienamente noi stesse e che, secondo lo psicologo William Khan, se portata al lavoro ci renderebbe più motivati, proattivi e disponibili alle relazioni [5].
Bibliografia
(2004) U. Eco, Storia della bellezza, Bompiani, Borgaro Torinese
(1991) N. Wolf, Il mito della bellezza, Arnoldo Mondadori Editore, Milano
(2022) M. Gangitano, Specchio delle mie brame. La prigione della bellezza, Super Opera Viva, Torino
(1996) J. Hillman, Il codice dell’anima, Adelphi
Per completare l’analisi del tema dell’articolo abbiamo intervistato per voi tre donne attivi in diversi settori dell’imprenditorialità femmile:
Valeria Ferri, Presidente “CNA area Ferrara”
Rossella Forlé, fondatrice “We Hate Pink”
Eleonora Rocca, fondatrice “Woman For Impact”
1) Ritieni che la maggior parte delle donne sia ancora vittima di una forte pressione e controllo sociale?
Valeria Ferri: “Ritengo, purtroppo, che sia uno dei mali più diffusi, che colpisce in maniera trasversale tutte le categorie femminili tramite stereotipi di varia natura ai quali sono associati i concetti di “considerazione” e, ancora più grave, di “accettazione”. I due concetti fanno leva sull’ansia sociale, sulla paura dell’isolamento e sul senso di pericolo dallo stesso derivante, sulla paura del rifiuto, se non quando, dell’abbandono”.
Rossella Forlé: “Assolutamente si, basta guardare i dati che rivelano la condizione in cui versano tutte le donne, nessuna esclusa, non solo in Italia ma nel mondo. La pressione e il controllo sociale si manifesta in molteplici aspetti dal controllo del corpo delle donne, all’accesso al lavoro, passando per la violenza di genere su donne di tutte le età e ceti sociali, in misure diverse. L’emancipazione femminile, infatti, è qualcosa che funziona a strati sociali. Le statistiche rivelano che in Italia meridionale, per esempio, i tassi di occupazione femminile sono estremamente bassi perché mancano le opportunità e molte sono costrette ad emigrare. Dove, infatti, le donne hanno più possibilità, vediamo che i tassi di occupazione femminile sono più elevati, ciò ci racconta che la donna, potendo scegliere (avendone le basi culturali e il supporto sociale) decide di emanciparsi e accettare la sfida di coniugare vita familiare e lavoro, perché, l’ennesimo stereotipo, suggerisce che sia la donna a restare in casa e badare ai figli. In tutte le società vi sono diseguaglianza e se ci soffermiamo ad osservare il ruolo della donna, vediamo che questa subisce un duro colpo negli strati sociali più deboli, nelle periferie e in determinate città d’Italia in cui vive ancora in una sorta di prigionia e di subordinazione all’uomo e alla società patriarcale”.
Eleonora Rocca: “Sicuramente, molte donne (auspico non la maggior parte!) sono ancora vittime di una forte pressione e controllo sociale. Quando si discute e ci si confronta su questi temi, ci si tende a focalizzare solo su argomenti come la violenza fisica, i maltrattamenti e gli abusi che purtroppo ancora oggi, un numero troppo elevato di donne subiscono. Dobbiamo però, per portare veramente un cambiamento reale, iniziare a mettere al centro del dibattito anche la violenza psicologica, verbale ma anche quella economica e finanziaria. Anche queste tipologie di violenze infatti hanno effetti negativi a breve ed a lungo termine e spesso è proprio da queste che si sfocia poi nella violenza visita. Per il raggiungimento dell’indipendenza e dell’equità, è fondamentale passare anche per questi dibattiti e naturalmente dalla formazione e dall’educazione”.
2) Consideri la bellezza fisica come una forma di controllo sociale sulle donne in particolare? Credi ci siano altri strumenti usati a livello sociale per minare la consapevolezza e il potere femminile?
Valeria Ferri: “Il concetto di bellezza spesso si limita ad una disquisizione sulla rispondenza fisica o su un dress code (più o meno imposto) basato su canoni prestabiliti, all’esterno dai quali si genera una spirale di insicurezza dai risultati spesso devastanti. L’unicità e la diversità, vere leve dell’evoluzione, vengono dirottate su concetti estetici o comportamentali superficiali che non entrano “nell’intimo” di una vera convinzione circa la loro enorme potenzialità; ciò si riscontra anche nell’esercizio delle professioni femminili, dove spesso non emerge un principio premiale in questo senso e viene, invece, valorizzato l’inserimento sistemico in un’ottica aziendale paternalistica. Creatività e inventiva vengono, così, ad essere ancora relegate ad alcuni ambiti, nei quali la società così “permette” la libera espressione delle potenzialità femminili”.
Rossella Forlé: “Le donne hanno sempre subito un enorme pressione nell’adeguarsi ai canoni di bellezza imposti dal contesto socioculturale di riferimento. E le ricerche condotte negli ultimi decenni, hanno dimostrato che l’esposizione alla continua pressione sociale verso la dieta, al fine di conformarsi all’ideale estetico di magrezza, pone le donne di fronte ad un rischio maggiore di sviluppare un grave disturbo alimentare. Alcuni studi evidenziano che i messaggi contenuti nelle riviste sono un elemento importante per lo sviluppo di un’immagine corporea negativa; riguardo a ciò, ad esempio, la semplice osservazione per alcuni minuti di fotografie di modelle magre da parte di ragazze adolescenti produce livelli maggiori di depressione, stress, vergogna, senso di colpa, insicurezza e insoddisfazione corporea di quanto non faccia l’osservazione di modelle di taglia media”.
Eleonora Rocca: “Penso che non sia un problema di “bellezza” in quanto tale ma di stereotipi. La nostra società è piena di bias cognitivi, molti dei quali sono talmente intrinsechi nella nostra società da essere quasi “accettati”. L’esempio più eclatante è quello delle calze “color carne” per ballerine che per anni sono state, in realtà, solamente di colore rosa. Come se per tutte il color carne dovesse equivalere al rosa. Ecco, dobbiamo riuscire ad uscire da questi antichi parametri imposti dalla società e rompere gli schemi mentali che alle volte abbiamo anche inconsapevolmente. Ed è per questo che ritorno a sottolineare l’importanza della formazione”.
3) Come credi che il talento personale possa rappresentare una delle leve per la libertà e l’empowerment femminile?
Valeria Ferri: “Come detto, credo che la valorizzazione del talento e dell’unicità sia lo stimolo principale per una “felicità” individuale che si riflette sia in ambito personale che lavorativo, e, in maniera più ampia, conduce ad una società più cosciente, responsabile e, quindi, più libera, con un effetto benefico globale”.
Rossella Forlé: “Il talento non è sufficiente, è necessario che le opportunità, per dimostrarlo e coltivarlo, siano equamente distribuite. Seneca diceva che la fortuna non esiste. Esiste il momento in cui il talento incontra l’opportunità. Sono cresciuta in una città di provincial della Puglia, non certo in una metropoli ricca di opportunità. E la mia è una famiglia di insegnanti, che mi ha trasmesso l’amore prezioso per l’etica e la cultura. Una famiglia normale senza grandi network o frequentazioni altolocate che mi ha sempre spronato a lavorare sodo. Avevo grandi sogni e tanta voglia di provare a realizzarli. Quindi sono cresciuta credendo fortemente nell’impegno ma sono stata costretta ad emigrare per realizzare i miei sogni, creandomi da sola le mie opportunità. Se, fino a prova contraria, il talento di cui parla Seneca è equamente distribuito tra uomini e donne, risulta evidente che non possiamo dire altrettanto delle opportunità. Quello che possiamo e dobbiamo fare per favorire l’empowerment femminile è lavorare per permettere anche alle donne di dimostrare e mettere a frutto il proprio talento ovunque esse siano, al nord e al sud del mondo”.
Eleonora Rocca: “Penso che ognuno di noi, donne e uomini, abbia un talento personale ma sono convinta anche che spesso facciamo fatica a capire qual è e soprattutto come sfruttarlo.
Per le donne poi, c’è un problema aggiuntivo, quello della sicurezza in se stesse. Spesso non ci reputiamo all’altezza, non mandiamo un CV perchè pensiamo di non avere tutti i requisiti, ci togliamo una possibilità perchè pensiamo che ci sia qualcuno migliore di noi. Ecco, dobbiamo iniziare a credere in noi stesse, nel valore del nostro talento ed questo che ci renderà più libere ma soprattutto più felici”.
4) In che modo le donne possono valorizzare il proprio potenziale personale ed acquisire maggior importanza anche a livello sociale?
Valeria Ferri: “Incominciando a non ascoltare gli stimoli esterni, ma anche interni (frutto di convinzioni falsate instillate sin dall’infanzia) che fanno leva sul senso di colpa e d’inadeguatezza, non facendosi abbagliare da un rassicurante senso di inclusione sociale basato sulla immobilità delle competenze e dei ruoli”.
Rossella Forlé: “Credo che esplorando e imparando a conoscersi a fondo sia davvero possibile valorizzare il proprio potenziale personale. Conoscenza di sé che spesso deve essere abbinata ad una consapevolezza del valore delle donne e della sorellanza tra le stesse. Per avere importanza a livello sociale dobbiamo sviluppare una coscienza sociale, in una prospettiva che valorizzi la cura in condivisione con altre persone e non incoraggi solo l’individualismo”.
Eleonora Rocca: “Beh di modi ce ne sono tantissimi. I due che vedo più spesso sono sicuramente: – la mentorship, come modalità di confronto tra donne che si aiutano, si spronano e si supportano a vicenda per cogliere il meglio l’una dall’altra. Non parlo solo di mentoring ma anche di riverse mentoring. Come una professionista può aiutare una giovane donna che sta per entrare nel mondo del lavoro così una ragazza appena uscita dall’Università può dare un punto di vista “altro” ad una manager più esperta e la community, come modalità di rafforzamento del proprio network e personal brand. Spesso quando si inizia un percorso si sottovaluta l’importanza della rete che invece è essenziale per la propria crescita professionale e personale”.
5) Secondo quali termini e modalità la diversità può rappresentare una forma di ricchezza e valore personale e sociale secondo te?
Valeria Ferri: “La diversità è il motore dell’evoluzione, senza la diversità non ci sarebbero stati gli stimoli socio-culturali su cui si sono basati i maggiori successi umani. La natura in questo è maestra, e ci mostra ogni giorno come tutto è in trasformazione e la trasformazione è tutt’uno con la biodiversità e il mutamento; l’immobilità e l’uniformità sono involutive, comportamenti contrari al progresso stesso, in ogni ambito”.
Rossella Forlé: “Ritengo che la diversità sia una risorsa insostituibile. Portare sul tavolo esperienze differenti, formazioni diverse aiuta a cambiare in meglio la percezione delle idee. Ognuno di noi ha un proprio modo di vedere le cose, che è influenzato dallo stile di vita, dall’ambiente familiare, dall’ambiente culturale nel quale ci si forma. E quando differenti visioni del mondo entrano in gioco, si scopre che i modi di pensare propri spesso sono limitativi e che un’apertura mentale porta a soluzioni più creative che beneficiano tutti. Vivo a Londra da dieci anni e l’aspetto che mi ha sempre affascinato di questa città è la multiculturalità. La Brexit e i Tories non riusciranno mai a spegnere la bellezza multiculturale di quella che io considero la capitale d’Europa, seppure non ne faccia più parte”.
Eleonora Rocca: “La diversità è fondamentale e non lo dico per dire. Non c’è solo un discorso valoriale, legato all’importanza della diversità come strumento di arricchimento personale ma è anche un fattore legato al business. I dati dimostrano che i team diversificati registrano obiettivi migliori, questo proprio grazie alla diversità di pensiero che si va ad integrare. Esempi classici sono nello sviluppo dei software, quando sono presenti anche mancini all’interno dei team di sviluppatori oppure persone con disabilità se si parla di notare le barriere architettoniche che può avere un determinato spazio. La diversità è ricchezza, una ricchezza a tutto tondo!”.
[1] https://www.treccani.it/enciclopedia/bellezza
[2] https://it.wikipedia.org/wiki/Bellezza
[3] Risalgono agli stessi anni altre finzioni con la funzione del controllo sociale tipiche del periodo vittoriano, quali: la visione dell’infanzia come un momento di vita che richiedeva una costante sorveglianza materna; il concetto di una biologia femminile che imponeva alle donne della borghesia di rappresentare il ruolo delle isteriche e delle ipocondriache; la convinzione che le donne rispettabili fossero sessualmente “anestetizzate”; la definizione del lavoro femminile che imponeva loro di dedicarsi ad incombenze ripetitive, lunghe e meticolose. Tutte queste imposizioni avevano un duplice ruolo: dirottare su dei canali “innocui” l’energia e l’intelligenza femminili, nonché esprimere la creatività e la passione di quest’ultime.
[4] https://www.prometeocoaching.it/sviluppo-del-potenziale/potenzialita-capacita-di-apprezzare-bellezza-eccellenza/
[5] https://ilquotidianoinclasse.ilsole24ore.com/i-talent-show-la-musica-parlata-e-la-nostalgia-dei-dischi/bellezza-e-talento/
Elisa Badiali
Lasciami Accendere Le Stelle
BIOGRAFIA
Daniela Paiella
vive con il marito e i suoi due figli nel cuore dell’Umbria.
Ha studiato Scienze dell’Educazione e della formazione e partecipato a numerosi corsi di scrittura creativa.
Nel 2019 ha pubblicato il suo libro d’esordio Mai lontano da te, casa editrice Terre-Sommerse, riscuotendo un forte consenso di pubblico e il 30 novembre 2022 esce il suo secondo romanzo Lasciami accendere le stelle, edito Bertoni editore.
Crede fermamente nel coraggio delle donne e nella loro forza di rialzarsi nonostante tutto.
Ogni giorno esprime il suo amore per l’Universo e lo ringrazia, certa che ciascun istante sia un dono prezioso e che tutto sia davvero possibile.
Per i lettori della Pot-agency, in esclusiva:
(Tratto da una storia vera, almeno nei fatti più importanti)
“Scosto le coperte e mi infilo nel letto. Solo qui sarò al riparo dai mostri della notte. Cerco ovunque con la mano. Le lenzuola sono calde ma le sue braccia non mi stringono. Trattengo il respiro per distinguere un lamento, ma nulla più. Apro gli occhi e cerco di mettere a fuoco tutt’intorno. Il vestito da sposa della sua bambola ostacola la luce come al solito. Mi tiro su e lo sfilo dalla lampadina dell’abat-jour. Lo lascio scivolare sul comodino.
«Dove sei? Ho paura.»
Le dita nude si rannicchiano a contatto con i mattoni gelati. Un grido lontano mi percorre tutto il corpo come una scossa.
«Sono stata io!» mi esce in un sussurro che blocco nel palmo.
Ho buttato i colori a cera nell’organico. Li ho nascosti sotto le bucce delle castagne.
«Esci fuori per favore… Glielo dico che è colpa mia… te lo giuro.»
Mi siedo sul mio cuscino di traverso.
Fisso il soffitto e unisco le mani a preghiera. Lo so che sono una bambina cattiva, ma prometto che non lo farò più. Non disegnerò più sul muro. Prometto che non ripeterò le brutte parole e che non masticherò le caramelle o il pane dopo che ho lavato i denti. Non farò storie per andare alla scuola materna e non lascerò nessuna briciola nel piatto. Finirò anche il brodo che puzza di pollo e mi fa venire da vomitare. E se mia sorella non ce la farà, ci penserò io. Mangerò anche la sua minestra. Non servirà che i capelli le finiscano dentro come stasera.
Annuisco e cerco che l’ossigeno mi dia il coraggio. Mi puntello sul materasso e mi spingo verso la porta.
Una folata di vento mi fa rabbrividire e procedo in fretta. Sul corridoio le voci rabbiose dei miei genitori sembrano l’eco di una casa infestata dai fantasmi. Esito indecisa se tornare indietro, ma non voglio stare da sola. Li cerco in camera grande… non c’è nessuno. Vado dritta verso la luce che filtra sotto l’uscio della cucina. Lo spalanco e il neon riduce le mie pupille a punte di spillo. Strizzo le palpebre e mi appoggio allo stipite.
Mamma si volta verso di me.
«Torna subito a dormire amore!» implora con le guance rigate dalle lacrime. Ha i capelli sparsi sulla fronte. Tiene per il collo una bottiglia di quelle con il tappo di sughero.
Papà ha gli occhi rossi, fa un passo indietro, abbassa il braccio. Appoggia sul tavolo uno di quei coltelli che noi bambine non possiamo e non dobbiamo MAI toccare.
Un sasso mi blocca la gola. Deglutisco ma non si sposta. Sporgo il labbro inferiore e le gambe iniziano a tremare.
«Va’ da tua sorella!» ordina papà.
«Non la trovo… ho freddo e in cameretta la finestra è aperta.»
Un rumore di vetri rotti mi colpisce le orecchie e un pioggia di vino rosso schizza sul pavimento bagnando i miei piedini.”
DANIELA PAIELLA
Mi presento con questo prologo, sono una sognatrice che ha visto avverare il suo sogno con la scrittura. Le mie ali sono i libri e credo fermamente nella forza delle parole. Leggere e scrivere mi ha aiutata e mi aiuta ogni giorno ad affrontare le difficoltà e il quotidiano con leggerezza. “Che non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, senza avere macigni nel cuore”, come recita Calvino. Ahimè, anche quando le esperienze sono più tragiche. E non sto qui a dire le mie, che ognuno di noi ha il suo fardello… Tuttavia ci tengo a sottolineare che non ho mai perso la fiducia nel domani, nei sentimenti e nelle persone. Il mio scudo è il sorriso. Vi assicuro che una bella dose di positività e autoironia è sempre un’ottima medicina.
Adoro osservare la gente. Molto nei miei libri è dipinto da ciò che vedo, ciò che sento, ciò che gli altri mi trasmettono. Guardare il prossimo negli occhi è indispensabile. Non credete anche voi? Io penso che li dentro ci sia la verità. Vi suggerisco di non smettere mai di farlo, perché è illuminante, come un gesto semplice, un saluto, un grazie, un “ti voglio bene” o un “perdonami”, una preghiera. E poi l’autenticità si riconosce, lo sguardo buono si vede. È quello che ti scalda, ti rassicura, ti garantisce che non resterai mai da solo o da sola.
Nonostante io mi definisca un’anima schiva che si rifugia tra le pagine dei suoi romanzi… credo che l’essenziale sia non innalzare mai muri chiusi, ma spalancarci finestre. La mia casa ne ha tante e il mio tetto è un cielo pieno di stelle. Ebbene sì, sono anche una romantica, come si evince dalla mie storie.
Veniamo a loro, ai miei romanzi. Le protagoniste dei miei libri sono ragazze, donne attraverso le quali io trovo una piccola forma di riscatto. Con loro io spero di trasmettere le mie emozioni a tutti i lettori e il mio invito a sperare. Tutto è possibile se ci si pone degli obiettivi, se si è determinati a raggiungerli e se si mette impegno e passione in ciò che facciamo.
Mia, in “Mai lontano da te” (il mio romanzo d’esordio) ed Eva in “Lasciami accendere le stelle” (dal 30 novembre in tutte le librerie e su tutti gli Store On-line), sono delle giovani eroine che combattono per vincere per primo una lotta con se stesse e poi con chi le vuole ostacolare, sminuire o sottomettere. Bisogna avere coraggio, autostima, amor proprio e spirito di sopravvivenza per dimostrare ogni giorno il proprio valore e pretendere quel rispetto che dovrebbe spettare di diritto ad ogni essere umano. Soprattutto alle donne (purtroppo temo che non smetteremo mai di batterci per i nostri diritti), ai bambini, ai più fragili o a chi non può difendersi da solo.
Credetemi non sono una femminista, è solo che confido molto nella forza delle donne! Amiche, figlie, madri, ritengo che posseggano le armi più potenti per rendere il mondo migliore. Empatia, sensibilità, dolcezza e gentilezza. Hanno il privilegio di dare voce al cuore e di far fiorire la vita.
Io scrivo, non solo come sfogo interiore e perché mi innamoro ogni volta che batto sui tasti del mio portatile, ma per dare consapevolezza e speranza a me stessa e a tutte le donne che come me credono nell’Amore Vero. L’unico fil rouge che, secondo mio modesto parere, può dare un senso a questa stupenda seppur limitata vita. “Limitata”, ci tengo a ribadire, perché non dovremmo dimenticarlo mai. È solo così che ci si può allontanare dalla presunzione di essere infallibili, individui superiori che credono di bastare a sé stessi, piuttosto che essere grati e umili.
La verità è una sola: siamo soltanto persone…, persone che abitano lo stesso mondo, che hanno bisogno le une delle altre e di avere fede.
Vi abbraccio una ad una e uno ad uno, care lettrici e lettori. Spero di incontrarvi tra le righe dei miei racconti.
Vi prego ditemi cosa ne pensate. Ci tengo davvero.
La mia pagina Instagram è daniela.paiella. Sono abbastanza attiva, anche se non pubblico ogni giorno, ma cerco di rispondere a tutti i messaggi.
Mi trovate anche su Facebook. Ho anche una pagina.
Vostra sempre grata
Daniela Paiella
Unire i puntini
Unire i puntini
Idee e soluzioni creative che ci aiutano a vivere meglio
Inizia oggi questa piccola rubrica che parla di creatività e di come il pensiero creativo applicato a progetti abbia un enorme impatto sul mondo, tanto da fare realmente la differenza.
Cosa potete aspettarvi da Unire i puntini?
Dunque, iniziamo da una brevissima introduzione per aiutarvi a farvi un’idea sull’argomento di cui stiamo parlando perché mi rendo conto che sembra un discorso fazioso e un po’ aleatorio.
Henri Pointcaré, esimio scienziato e matematico francese vissuto circa due secoli fa (parliamo più o meno della fine del 1800) con il suo lavoro ci ha fornito lo spunto da cui è iniziato tutto. Fu proprio lui, un serio e metodico scienziato mentre era intento nei suoi studi, a produrre forse la più famosa, quanto splendida, definizione di creatività che circola ancora oggi e viene insegnata nelle facoltà universitarie legate alla comunicazione.
Cito (anche se non letteralmente): ”La creatività è la capacità di unire elementi preesistenti in combinazioni nuove e che siano utili.”
Nuovo e utile, quindi. Ma secondo chi?
Ecco l’altro punto: “Il criterio intuitivo per riconoscere l’utilità della combinazione nuova è “che sia bella”. Mi inserisco per specificare che non stiamo parlando di una bellezza estetica, si tratta di bellezza da matematici, cioè un concetto più vicino a quello di armonia.
Oggi sappiamo che il livello di novità e utilità variano da progetto a progetto, ma questa definizione è rimasta una delle più citate e significative per spiegare a tutti cosa significa “essere creativi” e anche che la creatività non è affatto accessoria.
In onore del nostro Poincaré e anche di questa bellezza/armonia abbiamo scelto il titolo ”Unire i puntini” e in ogni puntata della rubrica racconteremo la storia di un’idea che nasce dalla creatività e fa realmente balzare in avanti la società e il mondo.
La Creatività funziona e per questo affidare un progetto a un professionista creativo è sempre una buona idea.
Elisa Gattamorta
IL SOUTH ITALY INTERNATIONAL FILM FESTIVAL
Sin dalla nascita del cinema, Il cortometraggio è stato il genere comunicativo per eccellenza, utilizzato da tutti coloro che volevano sperimentare le affascinanti tecniche cinematografiche, prima di far spazio alle grandi e piccole opere del grande schermo.
Ma negli ultimi anni, il cortometraggio attira molti appassionati di cinema, giovani talenti, aspiranti registi, studenti delle accademie e diventa strumento per farsi conoscere e sperimentare.
Con lo scopo di promuovere e valorizzare i registi, le nuove generazioni con produzioni indipendenti e valorizzare il nostro territorio, il sud Italia e non solo, nasce il South Italy International Film Festival, prossimo alla sua II edizione, che si svolgerà in Puglia e precisamente a Barletta, città natale dell’ideatore, Giuseppe Arcieri, giovane regista esordiente.
La prima edizione ha riscosso un notevole successo, con una rassegna indipendente di cortometraggi che ne conta più di 400 provenienti da diverse regioni italiane, ma anche da Stati Uniti, Cina, Marocco, Russia, Spagna e Norvegia.
Produzioni originali realizzate con linguaggi di espressione diversi, che hanno toccato molte tematiche, divise in categorie e valutate da una giuria di esperti.
Passione, creatività, cultura e tanta voglia di mettersi in gioco, hanno caratterizzato la prima edizione ed è stata già una grande soddisfazione per l’organizzatore!
Per questa seconda edizione c’è dietro già una squadra a lavoro e tante sorprese ci aspettano!
Per il momento, vi segnalo la riapertura per le iscrizioni per la prossima edizione del festival, che si svolgerà probabilmente nella seconda settimana di maggio del prossimo anno.
Invito tutti i registi esordienti, e non, a iscrivere qui i vostri cortometraggi!
https://filmfreeway.com/SouthItalyInternationalFilmFestival
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https://www.instagram.com/south.ita.intern.filmfest/
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Vincenza Dinoia