Il concetto di bellezza, secondo l’enciclopedia Treccani è definito come quella qualità di ciò che appare o è ritenuto bello ai sensi e all’anima”[1]. Posso affermare, quindi, che la bellezza rappresenta un concetto astratto, legato all’insieme delle qualità, percepite tramite i cinque sensi, che suscitano sensazioni piacevoli e che attribuiamo a elementi dell’universo esistente ed osservato quali oggetti e suoni e come persone e concetti. Tale concetto si evidenzia durante l’esperienza, si sviluppa spontaneamente e tende a collegarsi a un contenuto emozionale positivo, in seguito a un rapido paragone effettuato[2].

Queste definizioni ci fanno comprendere come “la bellezza non è mai stata qualcosa di assoluto e immutabile, ma ha assunto volti diversi in relazione al periodo storico ed al Paese” (Eco, 2004).

La bellezza, inoltre, non è neppure una funzione dell’evoluzione: la competizione delle donne con altre donne attraverso la bellezza è l’inverso di come la selezione naturale agisce su tutti gli altri mammiferi. L’antropologia ha dimostrato, infatti, l’infondatezza del concetto per cui le donne dovrebbero essere belle per essere scelte per l’accoppiamento. Insomma, non esistono giustificazioni legittime, storiche o biologiche per il mito della bellezza (Wolf, 1991).

Eppure “c’è stato il bisogno di capire se esistesse una bellezza oggettiva e se fosse possibile tradurla in parole e criteri precisi. [E’ così che] nel corso del tempo la riflessione sulla bellezza è diventata un discorso sul corpo femminile e sulle misure che doveva avere per raggiungere l’ideale e per tenersi ben distante da quelle caratteristiche che l’avrebbero reso brutto o, peggio, mostruoso” (Gangitano, 2022). Possiamo affermare che le qualità che un certo periodo definisce come tratti di bellezza nelle donne sono solamente dei simboli del comportamento femminile che quel periodo considera desiderabili: in realtà il mito della bellezza prescrive sempre dei comportamenti più che un aspetto esteriore. Fu poi, a partire dall’epoca moderna, che il culto della bellezza è finito per rappresentare una forma di prigione: da quando le donne si sono liberate della mistica femminile della vita domestica, infatti, il mito della bellezza si è sostituito ad essa, espandendosi per portare avanti la sua opera di controllo sociale (Wolf, 1991).

Storicamente, prima della rivoluzione industriale, la donna media non poteva considerare la bellezza alla stregua di         quelle moderne. La famiglia era un’unità produttiva e il lavoro delle donne integrava quello degli uomini: per questo il loro valore risiedeva nel loro talento lavorativo, nella scaltrezza, nella forza e nella fertilità. Sul mercato del matrimonio la bellezza non era, perciò, una questione importante. Al contrario, a quei tempi, esisteva una classe ben definita di rappresentanti del sesso femminile che venivano pagate per la loro bellezza, composta da indossatrici, attrici, ballerine, ed accompagnatrici, ovvero da donne di bassa condizione sociale e soprattutto non degne di rispetto (Wolf, 1991).

Il mito della bellezza nella sua forma moderna è un’invenzione che risale al periodo dell’industrializzazione, tra il Settecento e l’inizio del Novecento, quando, con l’avvento del sistema fabbrica, è stata distrutta l’unità lavorativa della famiglia. In quegli anni, è sorta una nuova classe di donne, oziose ed istruite, dalla cui sottomissione alla vita domestica imposta dipendeva l’intero funzionamento ed evoluzione del capitalismo consumista. Il canone della bellezza, perciò, rappresentava una delle tante finzioni sociali emergenti[3] con la funzione principale di favorire questa nuova forma di controllo sociale.

La pressione sociale è aumentata, poi, con la scoperta delle nuove tecnologie, quando attraverso figurini, dagherrotipi, ferrotipi e rotocalcografie, iniziarono ad apparire per la prima volta immagini che riproducevano l’aspetto che dovevano assumere le donne.

Negli anni che seguirono il dopoguerra, quando la seconda ondata del movimento femminile ha portato le donne della borghesia a varcare la soglia di casa spezzando l’idea del focolare domestico, le finzioni che dovevano definire il loro ruolo naturale, si sono trasformate: liberate da tutte le limitazioni, dai tabù e dalle punizioni di leggi repressive, tipiche di imposizioni religiose e di schiavitù riproduttiva che non avevano più forza sufficiente, alle donne venivano ora imposti ora i corpi e i volti come simboli ideali da inseguire. Fu proprio in questo perioche che, quindi, un inesauribile lavoro sulla bellezza è subentrato a quello di casa. Mentre l’economia, la legge, la religione, le abitudini sessuali, l’istruzione e la cultura si aprivano forzatamente per includere più equamente le donne, una realtà privata colonizzava la coscienza femminile. Usando le idee sulla bellezza veniva ricostruito un mondo femminile alternativo con le sue leggi, il suo lavoro, la sua religione, la sua cultura, la sua sessualità, la sua istruzione, in maniera repressiva quanto il periodo precedente.

Con il passare del tempo, più le donne diventavano forti, tanto più prestigio, fama e denaro vennero concessi alle professioni d’immagine: queste ultime vengono sbandierate con sempre maggiore enfasi davanti agli occhi delle donne, per convincerle a competere. La bellezza è divenuta, in quest’ottica, una legittima e necessaria qualificazione per l’ascesa del potere di una donna. A partire dagli anni Ottanta appare evidente come, man mano che le donne diventavano più importanti, anche la bellezza diventa determinante. Quanto più si avvicinano al potere, tanto più si chiede loro un’autocoscienza fisica. Ed è così che una delle azioni più lungimiranti svolte a livello di controllo sulle donne è stato quello di stereotiparle per adattarle al mito appiattendo la femminilità al livello di bellezza-senza-intelligenza o, al contrario, intelligenza-senza-bellezza: alle donne è concesso avere una mente o un corpo, ma non entrambi (Wolf, 1991).

Analizzando questo excursus sul significato che la bellezza ha avuto sulla vita delle donne, voglio far comprende come, a partire dall’epoca moderna, l’autostima femminile sia stata determinata in gran parte da una competizione tra loro basata su caratteristiche fisiche rapportate ad un modello fisico ideale. Se davvero vogliono liberarsi e raggiungere un livello di parità sostanziale reale, le donne non hanno bisogno, quindi, solo di voti o di gruppi di pressione, ma anche e soprattutto di un nuovo modo di vedere. Questo passaggio potrebbe avverarsi grazie ad un nuovo modo di concepire la bellezza: da insieme di qualità fisiche o caratteriali, a un’espressione del talento personale e, in particolare, creativo.

La parola talento deriva dal greco “Talentum”, ovvero l’unità di misura di massa e peso corrispondente a 60 mine e a 6000 dramme. Il suo significato più noto della parola talento nel corso degli anni la fa corrispondere alla moneta di conto utilizzata nella antica Grecia ed in Palestina. Nella “Parabola dei talenti”, tratta dal Vangelo Secondo Matteo, i talenti venivano raffigurati come i doni che Gesù distribuisce ai servi del Signore, gli esseri umani. Ai giorni nostri, invece, il talento viene definito come “l’eccellenza di chi si segnala per le sue abilità in un determinato ambito”[4].

Una spiegazione più ampia che può meglio descrivere, cosa significhi la parola talento, è quella che la indentifica come quel processo creativo grazie al quale possiamo mettere in pratica la nostra vocazione ed il nostro potenziale. La “Teoria della Ghianda”, tratta dal libro “Il codice dell’anima” di James Hillman, può aiutare a chiarire cosa si intende quando si utilizzano i concetti quali vocazione e potenziale in relazione al talento. Lo psicologo junghiano, infatti, sostenne che: “Ogni individuo fin da bambino è come una piccola ghianda, racchiude in sé tutte le potenzialità sufficienti per poter crescere e diventare un maestoso albero di quercia”. Il potenziale umano, quindi, rappresenta l’insieme delle qualità del carattere che contraddistinguono ciascuno, ma che ancora non si traduce in potere, come se rimanesse sullo sfondo, sopito. Tutti noi nasciamo con una dotazione che ci caratterizza e che potenzialmente è sviluppabile per compiere azioni e per esprimerci in maniera ottimale. Tale dotazione varia da individuo a individuo per influenza di fattori genetici ed evolutivi. Secondo questa teoria, quando la vocazione si palesa, quando le condizioni contestuali e quando la volontà soggettiva sono idonee, è essa stessa che chiama a raccolta le potenzialità caratterizzanti l’individuo affinché vengano allenate e sviluppate attraverso l’azione, dando origine a quelle competenze o abilità che daranno piena espressione al talento.

Il talento, in questo senso, rappresenta il bene prezioso che può portare una donna alla piena realizzazione di se stessa attraverso l’attribuzione consapevole di senso e significato alle azioni che compie. Tali azioni, guidate da una forte motivazione intrinseca e consapevole, frutto di un intenso sforzo ed impegno costante, con l’influenza dell’ambiente sociale, relazionale e fisico in cui si vive (che può essere talvolta favorevole talvolta limitante), danno origine a prestazioni, prodotti o effetti che sono l’espressione massima e concreta del potenziale di cui ognuna è portatrice. Sono dunque la creatività, la consapevolezza e la capacità gli ingredienti che compongono ciascun talento. Talento che è come un’energia che ciascuna ha dentro di sé, che non si esaurisce con il passare degli anni, che non ha un’età anagrafica e che non va mai soffocata, che ci può condurre all’auto-realizzazione femminile. Come una forza, una risorsa più o meno nascosta, che ogni giorno ci dice che abbiamo sempre una possibilità. Ecco perché il talento può essere considerato come il tesoro più prezioso.

Ed ecco perché dovrebbe essere facile comprendere come, il passaggio da bellezza come forma di controllo sociale a leva per l’empowerment femminile, debba passare attraverso la valorizzazione del talento personale di ciascuna.

Questo spiega anche come mai, nel momento in cui mi sono trovata a dover decidere quale dovesse essere il nome ed il logo che avrei attribuito alla start up di innovazione sociale, mi fu subito chiaro che la scelta migliore fosse P.o.T. ovvero People of Talent!

Se è vero che tutti hanno un talento, qualcosa di speciale, un potenziale che esiste in ciascuno, virtù da realizzare, allo stesso tempo esiste una netta e sostanziale differenza: alcuni lo coltivano, mentre altri lo sottovalutano, trascurandolo. Non è casuale che in inglese la parola PoT tradotta in italiano significhi vaso. Il talento, infatti, è come un seme pronto a germogliare. Un seme che riguarda il saper essere, ovvero la forza del carattere, che aspetta di poter essere tradotto in nuovi comportamenti, nuove risorse. Più questo seme verrà annaffiato, giorno dopo giorno, più potrà crescere e diventare forte. Idea che ritroviamo nelle parole nel Vangelo di Matteo che recita: “Il talento è un dono ricevuto da rendere produttivo”. E nell’aforisma popolare di Thomas A. Edison, che sostiene: “Il genio è 1% ispirazione, 99% sudore”. Da entrambe le lezioni si può, dunque, trarre l’insegnamento per cui ciascuna è davanti alla scelta di liberare l’opera d’arte che custodisce dentro. Il talento, perciò, interpretato come dote particolare, concretamente visibile nel risultato eccellente di prestazioni di tipo operativo-produttivo oppure relazionale, non può esistere senza che vi sia un allenamento, un impegno, uno sforzo sistematico e volontario, atto a sviluppare le potenzialità trasformandole in competenze sempre più performanti e di livello.

La questione più importante, laddove il talento viene concepito come risultato di un processo di espressione creativa della vocazione e delle potenzialità di ciascuna, è comprendere come, solo grazie all’utilizzo di una intelligenza emotiva e di un approccio anch’esso creativo, sia possibile mettere a fuoco ed illuminare il talento di ciascuna. I migliori risultati in questo senso, infatti, possono arrivare solo se libere, indipendenti dai condizionamenti e preparate per agire verso l’obiettivo definito. Se per alcune questo approccio risulta più facile, per altre donne non è così naturale, poiché, come ho descritto sopra, gli ostacoli sono storicamente maggiori rispetto a quelli che incontrano gli uomini. Ciascuna di noi combatte, infatti, con molteplici i fattori che possono ostacolare questo processo, a partire dall’ambiente che ci circonda, fisico o relazionale, dalla volontà di attivarci ed impegnarci, dal timore del giudizio di chi ci sta attorno. E questo vale sia nella vita quotidiana che in ambito professionale.

Uno dei nemici più pericolosi per il talento è, quindi, la mancanza di autostima. Una bassa autostima, infatti, blocca sul nascere qualsiasi possibilità di riuscita, poiché non porta a mettersi in gioco per paura di non farcela. Per essere persone di talento l’ingrediente principale è credere in noi stesse e nelle nostre capacità. Solo quando crediamo in noi la nostra vocazione ed il nostro potenziale sono nelle condizioni di poter emergere.

Il talento è la potenza in atto, la realizzazione della nostra intelligenza embrionaria. E’ quel qualcosa di veramente unico che ognuno di noi sa fare e può fare. Ne consegue che non esiste un solo tipo di talento. E che ciascun talento diverso è ciò che ci distingue dagli altri. Ognuno ha una propria vocazione, che associato ad un processo creativo può portare alla piena espressione di sé stessi. Il talento, oltre ad essere unico, è anche non trasferibile. Ne deriva che è insensato paragonare i nostri talenti a quelli degli altri, poiché ciascuno custodisce un’essenza speciale che non può essere replicata. E credo che oggi, sempre di più anche in Italia, i parametri utilizzati nella ricerca del talento siano sempre più elementi quale: non convenzionale; non ordinario, unicità, genuinità, passione, etc. E’ questa constatazione mi ha portato alla scelta dello slogan, associato al nome dell’azienda, da me ideato con lo scopo di comunicare e rendere espliciti quanto più possibile i valori alla base della PoT. I temi ai quale ho deciso di dedicare perfino il payoff della mia creazione sono l’inclusione sociale e la valorizzazione delle differenze. Il paradigma fondato sull’inclusione rappresenta, infatti, l’evoluzione delle politiche per le pari opportunità e della responsabilità sociale d’impresa. Lo scopo è quello di perseguire il concetto secondo il quale ognuno debba rappresentare il modello migliore di se stesso e per questo lo stesso pay-off dell’agenzia recita: “As you want to be”. Desidero, infatti, diffondere e promuovere l’idea per cui diversità è bellezza. E che, come diceva il mito Coco Chanel, “Per essere unici bisogna essere diversi”.

Credo di non essere sola a pormi questo obiettivo che potrebbe risultare utopico. Grazie a studi sociali ed economici da me condotti a livello nazionale e ancora di più internazionale ho potuto constatare, infatti, come sia in corso una vera e propria rivoluzione, una nuova tendenza sembra intenzionata a premiare la creatività, a prescindere dagli ambiti in cui essa di esprime (la moda, il beauty, il design, l’arte, lo spettacolo, la musica, il cibo, etc.). Perfino quelli che fino ad ora sono stati visti dal mondo dell’industria culturale e della moda, come difetti e limiti, al contrario possono rappresentare dei veri e propri punti di forza e dei plus, in chiave di bellezza e personalità. La diversità è cool. Declinata in tutte le sue forme. Diversità rispetto ai canoni estetici che ci inchiodano a modelli stereotipati e irraggiungibili, facendoci sentire sempre inadeguati. Diversità come pluralità di facce, di colori, lingue, credo, culture. Diversità come emotività e intuizione, creatività e fantasia, cioè la complessità del fattore umano contro l’algoritmo delle macchine. Diversità come capacità di uscire dai binari e andare dove ci pare, anche se i cartelli indicano un’unica direzione, seguendo solo la voce del cuore. Un tema chiave questo credo in un modello di agenzia che non considera i difetti come caratteristiche da nascondere ma, al contrario, come punti di forza da mettere in primo piano. Bellezza e talento in questo senso prendono luce proprio grazie alle loro anomalie. In fondo che cosa ci rende più speciali di un ventaglio diversificato di difetti?! Come ha scritto il famoso scrittore Murakami, infatti: “Un certo tipo di perfezione si può raggiungere solo accumulando infinite imperfezioni.

E’ secondo questa visione che la PoT si pone lo scopo di promuove l’armonia, l’importanza della cura del sé, del sentirsi bene, in primis con se stessi. Come Fondatrice e Direttrice, desidero che la PoT faccia parte dei pionieri che in Italia credono e lottano per l’affermazione di questo valore a livello sociale, culturale, occupazione ed economico. Una parte del lavoro che svolge l’agenzia, quindi, in tema di supporto dei talenti, è un’attività che si basa sui concetti di empowerment e di self-confidence, mirata ad accrescere l’autostima e la fiducia in se stessi. Il talento si traduce quindi, diventando visibile, nelle cose che le donne scelgono di fare e, quindi, di essere. Sono tutte possibilità: strade possibili tra cui scegliere. E’ di solito una fioritura, quella del talento, che provoca gioia in chi la coltiva ed è sostenibile, genera energia ed effetti positivi. E allora, spesso, i talenti sono nascosti nelle cose che le donne fanno e che sono quando si sentono libere di scegliere. Il luogo in cui si esprime il talento si traduce nel cosiddetto “preferred self”: la dimensione di noi in cui ci sentiamo pienamente noi stesse e che, secondo lo psicologo William Khan, se portata al lavoro ci renderebbe più motivati, proattivi e disponibili alle relazioni [5].

 

Bibliografia

(2004) U. Eco, Storia della bellezza, Bompiani, Borgaro Torinese

(1991) N. Wolf, Il mito della bellezza, Arnoldo Mondadori Editore, Milano

(2022) M. Gangitano, Specchio delle mie brame. La prigione della bellezza, Super Opera Viva, Torino

(1996) J. Hillman, Il codice dell’anima, Adelphi

 

Per completare l’analisi del tema dell’articolo abbiamo intervistato per voi tre donne attivi in diversi settori dell’imprenditorialità femmile:

Valeria Ferri, Presidente “CNA area Ferrara”

Rossella Forlé, fondatrice “We Hate Pink”

Eleonora Rocca, fondatrice “Woman For Impact”

 

1) Ritieni che la maggior parte delle donne sia ancora vittima di una forte pressione e controllo sociale?

Valeria Ferri: “Ritengo, purtroppo, che sia uno dei mali più diffusi, che colpisce in maniera trasversale tutte le categorie femminili tramite stereotipi di varia natura ai quali sono associati i concetti di “considerazione” e, ancora più grave, di “accettazione”. I due concetti fanno leva sull’ansia sociale, sulla paura dell’isolamento e sul senso di pericolo dallo stesso derivante, sulla paura del rifiuto, se non quando, dell’abbandono”.

 

Rossella Forlé: “Assolutamente si, basta guardare i dati che rivelano la condizione in cui versano tutte le donne, nessuna esclusa, non solo in Italia ma nel mondo. La pressione e il controllo sociale si manifesta in molteplici aspetti dal controllo del corpo delle donne, all’accesso al lavoro, passando per la violenza di genere su donne di tutte le età e ceti sociali, in misure diverse. L’emancipazione femminile, infatti, è qualcosa che funziona a strati sociali. Le statistiche rivelano che in Italia meridionale, per esempio, i tassi di occupazione femminile sono estremamente bassi perché mancano le opportunità e molte sono costrette ad emigrare. Dove, infatti, le donne hanno più possibilità, vediamo che i tassi di occupazione femminile sono più elevati, ciò ci racconta che la donna, potendo scegliere (avendone le basi culturali e il supporto sociale) decide di emanciparsi e accettare la sfida di coniugare vita familiare e lavoro, perché, l’ennesimo stereotipo, suggerisce che sia la donna a restare in casa e badare ai figli. In tutte le società vi sono diseguaglianza e se ci soffermiamo ad osservare il ruolo della donna, vediamo che questa subisce un duro colpo negli strati sociali più deboli, nelle periferie e in determinate città d’Italia in cui vive ancora in una sorta di prigionia e di subordinazione all’uomo e alla società patriarcale”.

 

Eleonora Rocca: “Sicuramente, molte donne (auspico non la maggior parte!) sono ancora vittime di una forte pressione e controllo sociale. Quando si discute e ci si confronta su questi temi, ci si tende a focalizzare solo su argomenti come la violenza fisica, i maltrattamenti e gli abusi che purtroppo ancora oggi, un numero troppo elevato di donne subiscono. Dobbiamo però, per portare veramente un cambiamento reale, iniziare a mettere al centro del dibattito anche la violenza psicologica, verbale ma anche quella economica e finanziaria. Anche queste tipologie di violenze infatti hanno effetti negativi a breve ed a lungo termine e spesso è proprio da queste che si sfocia poi nella violenza visita. Per il raggiungimento dell’indipendenza e dell’equità, è fondamentale passare anche per questi dibattiti e naturalmente dalla formazione e dall’educazione”.

 

2) Consideri la bellezza fisica come una forma di controllo sociale sulle donne in particolare? Credi ci siano altri strumenti usati a livello sociale per minare la consapevolezza e il potere femminile?

Valeria Ferri: “Il concetto di bellezza spesso si limita ad una disquisizione sulla rispondenza fisica o su un dress code (più o meno imposto) basato su canoni prestabiliti, all’esterno dai quali si genera una spirale di insicurezza dai risultati spesso devastanti. L’unicità e la diversità, vere leve dell’evoluzione, vengono dirottate su concetti estetici o comportamentali superficiali che non entrano “nell’intimo” di una vera convinzione circa la loro enorme potenzialità; ciò si riscontra anche nell’esercizio delle professioni femminili, dove spesso non emerge un principio premiale in questo senso e viene, invece, valorizzato l’inserimento sistemico in un’ottica aziendale paternalistica. Creatività e inventiva vengono, così, ad essere ancora relegate ad alcuni ambiti, nei quali la società così “permette” la libera espressione delle potenzialità femminili”.

 

Rossella Forlé: “Le donne hanno sempre subito un enorme pressione nell’adeguarsi ai canoni di bellezza imposti dal contesto socioculturale di riferimento. E le ricerche condotte negli ultimi decenni, hanno dimostrato che l’esposizione alla continua pressione sociale verso la dieta, al fine di conformarsi all’ideale estetico di magrezza, pone le donne di fronte ad un rischio maggiore di sviluppare un grave disturbo alimentare. Alcuni studi evidenziano che i messaggi contenuti nelle riviste sono un elemento importante per lo sviluppo di un’immagine corporea negativa; riguardo a ciò, ad esempio, la semplice osservazione per alcuni minuti di fotografie di modelle magre da parte di ragazze adolescenti produce livelli maggiori di depressione, stress, vergogna, senso di colpa, insicurezza e insoddisfazione corporea di quanto non faccia l’osservazione di modelle di taglia media”.

 

Eleonora Rocca: “Penso che non sia un problema di “bellezza” in quanto tale ma di stereotipi. La nostra società è piena di bias cognitivi, molti dei quali sono talmente intrinsechi nella nostra società da essere quasi “accettati”. L’esempio più eclatante è quello delle calze “color carne” per ballerine che per anni sono state, in realtà, solamente di colore rosa. Come se per tutte il color carne dovesse equivalere al rosa. Ecco, dobbiamo riuscire ad uscire da questi antichi parametri imposti dalla società e rompere gli schemi mentali che alle volte abbiamo anche inconsapevolmente. Ed è per questo che ritorno a sottolineare l’importanza della formazione”.

 

3) Come credi che il talento personale possa rappresentare una delle leve per la libertà e l’empowerment femminile?

Valeria Ferri: “Come detto, credo che la valorizzazione del talento e dell’unicità sia lo stimolo principale per una “felicità” individuale che si riflette sia in ambito personale che lavorativo, e, in maniera più ampia, conduce ad una società più cosciente, responsabile e, quindi, più libera, con un effetto benefico globale”.

 

Rossella Forlé: “Il talento non è sufficiente, è necessario che le opportunità, per dimostrarlo e coltivarlo, siano equamente distribuite. Seneca diceva che la fortuna non esiste. Esiste il momento in cui il talento incontra l’opportunità. Sono cresciuta in una città di provincial della Puglia, non certo in una metropoli ricca di opportunità. E la mia è una famiglia di insegnanti, che mi ha trasmesso l’amore prezioso per l’etica e la cultura. Una famiglia normale senza grandi network o frequentazioni altolocate che mi ha sempre spronato a lavorare sodo. Avevo grandi sogni e tanta voglia di provare a realizzarli. Quindi sono cresciuta credendo fortemente nell’impegno ma sono stata costretta ad emigrare per realizzare i miei sogni, creandomi da sola le mie opportunità. Se, fino a prova contraria, il talento di cui parla Seneca è equamente distribuito tra uomini e donne, risulta evidente che non possiamo dire altrettanto delle opportunità. Quello che possiamo e dobbiamo fare per favorire l’empowerment femminile è lavorare per permettere anche alle donne di dimostrare e mettere a frutto il proprio talento ovunque esse siano, al nord e al sud del mondo”.

 

Eleonora Rocca: “Penso che ognuno di noi, donne e uomini, abbia un talento personale ma sono convinta anche che spesso facciamo fatica a capire qual è e soprattutto come sfruttarlo.

Per le donne poi, c’è un problema aggiuntivo, quello della sicurezza in se stesse. Spesso non ci reputiamo all’altezza, non mandiamo un CV perchè pensiamo di non avere tutti i requisiti, ci togliamo una possibilità perchè pensiamo che ci sia qualcuno migliore di noi. Ecco, dobbiamo iniziare a credere in noi stesse, nel valore del nostro talento ed questo che ci renderà più libere ma soprattutto più felici”.

 

4) In che modo le donne possono valorizzare il proprio potenziale personale ed acquisire maggior importanza anche a livello sociale?

Valeria Ferri: “Incominciando a non ascoltare gli stimoli esterni, ma anche interni (frutto di convinzioni falsate instillate sin dall’infanzia) che fanno leva sul senso di colpa e d’inadeguatezza, non facendosi abbagliare da un rassicurante senso di inclusione sociale basato sulla immobilità delle competenze e dei ruoli”.

 

Rossella Forlé: “Credo che esplorando e imparando a conoscersi a fondo sia davvero possibile valorizzare il proprio potenziale personale. Conoscenza di sé che spesso deve essere abbinata ad una consapevolezza del valore delle donne e della sorellanza tra le stesse. Per avere importanza a livello sociale dobbiamo sviluppare una coscienza sociale, in una prospettiva che valorizzi la cura in condivisione con altre persone e non incoraggi solo l’individualismo”.

 

Eleonora Rocca: “Beh di modi ce ne sono tantissimi. I due che vedo più spesso sono sicuramente: – la mentorship, come modalità di confronto tra donne che si aiutano, si spronano e si supportano a vicenda per cogliere il meglio l’una dall’altra. Non parlo solo di mentoring ma anche di riverse mentoring. Come una professionista può aiutare una giovane donna che sta per entrare nel mondo del lavoro così una ragazza appena uscita dall’Università può dare un punto di vista “altro” ad una manager più esperta e la community, come modalità di rafforzamento del proprio network e personal brand. Spesso quando si inizia un percorso si sottovaluta l’importanza della rete che invece è essenziale per la propria crescita professionale e personale”.

 

5) Secondo quali termini e modalità la diversità può rappresentare una forma di ricchezza e valore personale e sociale secondo te?

Valeria Ferri: “La diversità è il motore dell’evoluzione, senza la diversità non ci sarebbero stati gli stimoli socio-culturali su cui si sono basati i maggiori successi umani. La natura in questo è maestra, e ci mostra ogni giorno come tutto è in trasformazione e la trasformazione è tutt’uno con la biodiversità e il mutamento; l’immobilità e l’uniformità sono involutive, comportamenti contrari al progresso stesso, in ogni ambito”.

 

Rossella Forlé: “Ritengo che la diversità sia una risorsa insostituibile. Portare sul tavolo esperienze differenti, formazioni diverse aiuta a cambiare in meglio la percezione delle idee. Ognuno di noi ha un proprio modo di vedere le cose, che è influenzato dallo stile di vita, dall’ambiente familiare, dall’ambiente culturale nel quale ci si forma. E quando differenti visioni del mondo entrano in gioco, si scopre che i modi di pensare propri spesso sono limitativi e che un’apertura mentale porta a soluzioni più creative che beneficiano tutti. Vivo a Londra  da dieci anni e l’aspetto che mi ha sempre affascinato di questa città è la multiculturalità. La Brexit e i Tories non riusciranno mai a spegnere la bellezza multiculturale di quella che io considero la capitale d’Europa, seppure non ne faccia più parte”.

 

Eleonora Rocca: “La diversità è fondamentale e non lo dico per dire. Non c’è solo un discorso valoriale, legato all’importanza della diversità come strumento di arricchimento personale ma è anche un fattore legato al business. I dati dimostrano che i team diversificati registrano obiettivi migliori, questo proprio grazie alla diversità di pensiero che si va ad integrare. Esempi classici sono nello sviluppo dei software, quando sono presenti anche mancini all’interno dei team di sviluppatori oppure persone con disabilità se si parla di notare le barriere architettoniche che può avere un determinato spazio. La diversità è ricchezza, una ricchezza a tutto tondo!”.

 

[1] https://www.treccani.it/enciclopedia/bellezza

[2] https://it.wikipedia.org/wiki/Bellezza

[3] Risalgono agli stessi anni altre finzioni con la funzione del controllo sociale tipiche del periodo vittoriano, quali: la visione dell’infanzia come un momento di vita che richiedeva una costante sorveglianza materna; il concetto di una biologia femminile che imponeva alle donne della borghesia di rappresentare il ruolo delle isteriche e delle ipocondriache; la convinzione che le donne rispettabili fossero sessualmente “anestetizzate”; la definizione del lavoro femminile che imponeva loro di dedicarsi ad incombenze ripetitive, lunghe e meticolose. Tutte queste imposizioni avevano un duplice ruolo: dirottare su dei canali “innocui” l’energia e l’intelligenza femminili, nonché esprimere la creatività e la passione di quest’ultime.

[4] https://www.prometeocoaching.it/sviluppo-del-potenziale/potenzialita-capacita-di-apprezzare-bellezza-eccellenza/

[5] https://ilquotidianoinclasse.ilsole24ore.com/i-talent-show-la-musica-parlata-e-la-nostalgia-dei-dischi/bellezza-e-talento/

Elisa Badiali